Corri ragazzo corri
Ispirato alla storia vera di Yoram Fridman, tratto dal romanzo omonimo dello scrittore israeliano Uri Orlev, Corri ragazzo corri di Pepe Danquart ha come protagonista Skrulik (Andrzej Tkaczz), un bambino ebreo di 9 anni, che riesce a fuggire dal ghetto di Varsavia e a sopravvivere spacciandosi per Jurek Staniak, orfano polacco di religione cattolica. Nella prima parte della pellicola, il piccolo ebreo si nasconde nei boschi insieme ad altri bambini come lui, poi trova rifugio in vari villaggi dove offre il suo lavoro in cambio di ospitalità. Fin qui, la vicenda viene narrata con lo spirito di un racconto di avventura e la Storia con la esse maiuscola fa soltanto da sfondo alle peripezie di Skrulik/Jurek che, con innocenza e forza, affronta ogni sorta di rischio.
Il tono della pellicola cambia e si fa più impegnativo verso il finale quando il coraggioso protagonista , cessato ogni pericolo, deve scegliere se continuare a fingersi Jurek o riappropriarsi della vera identità. La scelta non è facile: Skrulik si trova, ora, ad un bivio – non solo metaforico – ma le radici hanno il sopravvento e il bambino rinuncia alla sicurezza e all’affetto della famiglia adottiva pur di recuperare se stesso. E’, in fondo, la stessa dinamica di Vai e vivrai di Radu Mihaileanu: nel film del regista noto per Train de vie, Schlomo, un goy, un non ebreo, verso la metà degli anni ottanta, è spinto dalla madre cristiana a scappare dall’Etiopia e ad andare in Israele, fingendosi orfano ed ebreo. La ricerca di un equilibrio tra l’integrazione e la salvaguardia della propria cultura – argomento più che mai attuale – è il centro di entrambi i film: Skrulik e Schlomo sono due “impostori”coraggiosi e commoventi, pronti a tutto per salvarsi ma altrettanto determinati e caparbi nel ritrovarsi.
Corri ragazzo corri inizia, dunque, come una specie di fiaba con cornice tragica per trasformarsi, successivamente, in un discorso sul tema, serissimo, dell’identità individuale e collettiva: Skrulik, con la sua capacità di resistere, diventa il simbolo di tutti coloro che – ebrei e non – lottano per non farsi annullare e per conservare, nonostante tutto, la fiducia e la speranza nell’umanità. In altri termini, la più grande tragedia del secolo scorso è qui presentata indirettamente e attraverso lo sguardo ingenuo di un bambino: il film non vuole, e non può essere, un’evocazione filosofica della Shoah quanto fornire, attraverso un classico racconto di formazione, un piccolo, onesto, contributo per accostare anche un “pubblico” di ragazzi alla tragedia indicibile del Novecento.
TRAMA
Skrulik, 9 anni, per salvarsi dai nazisti fugge dal ghetto di Varsavia e vive per tre anni nei boschi e nei villaggi vicino alla capitale. Nel suo duro viaggio, il bambino incontra molte persone pronte ad aiutarlo ed altre che lo tradiscono ma non perde mai la forza di andare avanti…
di Mariella Cruciani