Copia conforme

Sembra solo un gioco, quello edificato da Abbas Kiarostami per Copia Conforme. Ma così non è. È invece una riflessione filosofica sul concetto di opera d’arte, sul rapporto tra soggetto intellettuale e realtà quotidiana, e sulla questione mai risolta dell’incomunicabilità in ambito sentimentale. Ad avvolgere e sostenere questi tre temi, decisamente corposi, c’è la “madre” di tutte le elucubrazioni artistico-filosofiche: la (non) differenza tra realtà e finzione.
Kiarostami punta in alto (che più in alto non si può) ed evita in maniera scientifica di complicare ulteriormente la faccenda utilizzando un linguaggio visivo ridondante. Al contrario punto tutto sulla semplicità e l’efficacia comunicativa, aiutato in ciò dal direttore della fotografia Luca Bigazzi, il quale ha assecondato l’impostazione formale voluta dall’autore, aggiungendo qua e la dei tocchi di nitida raffinatezza. Inquadrature sempre molto strette (con rare eccezioni), campi e controcampi, dialoghi fitti e spesso filosofici. Tono monocorde, ritmo cadenzato da lunghe sequenze nelle quali la parola sembra prendersi il ruolo di cardine espressivo.
Il punto essenziale di tutta l’operazione è però quello dell’ambiguità narrativa. I due personaggi centrali iniziano la loro storia come due perfetti estranei al primo appuntamento, poi all’improvviso incominciano darsi del tu e a comportarsi come una vecchia coppia in crisi. Il tutto è realizzato senza soluzione di continuità, in modo apparentemente fluido e naturale. I protagonisti sono veramente sposati, oppure no? La loro è una finzione o quello che vediamo scorrere davanti al nostro sguardo è realmente la deriva di una coppia ormai incapace di comunicare? Dare risposte a queste domande non è importante. È invece fondamentale abbandonarsi al percorso teorico messo in piedi da Kiarostami, il quale in modo chiaro si è concentrato sul tema dell’indecifrabilità del reale e sulla conseguente fragilità delle convenzioni umane.
In questa trasferta europea, la natura del cinema del cineasta iraniano non è poi mutata in maniera così traumatica. Certo, si percepisce uno sguardo diretto in maniera evidente verso la cinematografia europea d’autore. Se da una parte l’incomunicabilità richiama alla mente la poetica di Antonioni (ma il maestro ferrarese utilizzava tutt’altra impostazione visuale e drammaturgica), dal punto di vista del concept della vicenda e dei meccanismi del suo svolgimento, viene alla mente Manoel de Oliveira, con in più un pizzico (ma solo un po’) di Luis Buñuel.
Copia conforme appare, dunque, un’opera basata su due elementi: la complessità degli argomenti e la pulizia della forma. Kiarostami usa però come collante i dialoghi, spesso verbosi, ripetitivi e fin troppo intellettualistici. Per tale motivo, si sfiora spesso la banalità, l’ovvio e tale problema comporta numerose cadute di tensione del film che riesce a non implodere solo a causa della sensibile e raffinata recitazione di Jiuliette Binoche, che proprio grazie alla sua partecipazione a Copia conforme si è aggiudicata il Premio per la migliore interpretazione femminile alla 63° edizione del Festival di Cannes.
di Maurizio G. De Bonis