Contagion

Da un colpo di tosse a un disastro mondiale, Contagion rappresenta il processo di diffusione di un virus nell’arco di oltre centotrenta giorni, con tutto ciò che ne consegue: il tentativo dell’uomo di correre ai ripari, l’ansia, la paura, l’isolamento e la violenza. L’ultimo film di Steven Soderbergh è un’analisi cinematografica dettagliata di cosa potrebbe succedere in caso di pandemia.

Il virus è un organismo. Nasce da una cellula: una donna americana torna da un viaggio di lavoro a Hong Kong. Tossisce, si ammala, muore. Lo stesso destino tocca a un ragazzo in Cina, a un imprenditore a Tokio e a una modella ucraina. Le cellule del virus si moltiplicano ramificandosi, corrono nelle vene del mondo globalizzato, arrivano a coinvolgere città sovraffollate, si installano su tutte quelle superfici che tocchiamo milioni di volte al giorno, dalle maniglie dell’autobus ai bicchieri di un bar, dalle strette di mano al nostro volto: “ci tocchiamo il volto dalle duemila alle tremila volte al giorno”, afferma la funzionaria del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie di Atlanta, interpretata da Kate Winslet. La mortalità sale a livello esponenziale. Qui, entrano in gioco da una parte le organizzazioni mondiali con il compito di gestire l’emergenza e di creare il vaccino, dall’altro internet, con il blogger freelance che intravede il pericolo del bioterrorismo e combatte in nome della libertà d’informazione. Si susseguono cifre, acronimi e nomi in codice: il numero della popolazione delle metropoli, il fattore di calcolo esponenziale dei contagiati R-O, il numero delle vittime; il nome del virus, MEV-1, messo accanto ai già noti SARS e H1N1. L’obiettivo è cercare la causa, il paziente 0, l’elemento che innesca la catena, “il maiale sbagliato che incontra il pipistrello sbagliato”.

Contagion segue le vicende parallele di più personaggi legati dal diffondersi dell’epidemia, attraverso tassonomie di luoghi, volti smunti e assenze. Vediamo sequenze di tavole rotonde intorno alle quali si decide il destino del mondo, sorvoliamo su luoghi come palestre, uffici e supermercati svuotati dal contagio. Seguiamo le fasi di “reazione al problema”, e ci poniamo le domande politiche: siamo sicuri che dietro non ci siano manovre atte a perseguire gli interessi di pochi? E,  una volta trovato il vaccino, chi si curerà per primo?

Soderbergh mette al centro l’essere umano, le sue scelte, le sue paure: l’istinto alla sopravvivenza e la salvaguardia dei suoi cari. Il progetto del film nasce da una chiacchierata tra il regista e lo sceneggiatore Scott Z. Burns, a seguito di numerosi spostamenti aerei durante la lavorazione di The Informant. I due si pongono una domanda: quante volte viaggiamo con gente che sta male? Se queste persone covassero un virus, quanto ci metterebbe quest’ultimo a diffondersi?

Steven Soderbergh lavora su un livello di aderenza al reale quasi totale (scientifica e sociologica: dalla riproduzione grafica del batterio all’urgenza di lavarsi le mani e di non toccare nessuno). Il film corre sicuro sul ritmo di un montaggio generatore di ansia e di una musica dello stesso carattere (originale, firmata da Cliff Martinez), che a tratti omaggiano le ambientazioni di altri film catastrofici e “virali”: uno su tutti è Zombie (1978), di George A. Romero, forse più estremo e politico della pellicola di Soderbergh, ma che già rappresentava l’involuzione della società umana di fronte alle calamità (naturali e non). Per la veste visiva  di Contagion, Soderbergh stesso propone una fotografia curata ed efficace che, come in Traffic (2000), alterna il blu, il giallo e il bianco/ghiaccio per inquadrare determinati ambienti: il freddo Minnesota, l’umida Hong Kong, l’asettico CDC.

Nel cast pieno di star che come sempre accompagnano i lavori del regista di Ocean’s eleven (qui troviamo la Kate Winslet, Gwyneth Paltrow, Matt Damon e Marion Cotillard tra gli altri), sono Jude Law e Laurence Fishburne a ricevere i due personaggi più interessanti: il primo è il blogger Alan Crumwiede, paladino della libertà d’informazione su internet; il secondo è il dottor Ellis Cheever, un uomo abituato a fronteggiare situazioni pericolose e a prendere decisioni importanti: un privilegiato che sfrutta la sua posizione per salvare la moglie.

Il resto degli attori e il film nel suo insieme soffrono però della sceneggiatura e dei dialoghi scritti da Scott Z. Burns, che più volte fanno perdere intensità alle scene e producono qualche lacuna nella storia. Alcuni passaggi e personaggi dono caratterizzati da una certa forzatura drammatica: l’addetto alle pulizie del CDC, alla fine del film, da proletario, riceve l’aiuto magnanimo del dottor Cheever; l’epidemiologa francese, rapita dai cinesi che vogliono “saltare la fila” e ottenere il vaccino per primi, finisce come missionaria a insegnare a dei bambini in un villaggio di campagna. I dialoghi si dimostrano prevedibili, sembrano seguire un protocollo d’azione adatto alla situazione d’emergenza, e nulla più.

In questo modo, Contagion, dopo un inizio promettente e ben ritmato e un’inquietante tintinnare di numeri e vittime, si dimostra incapace del salto di qualità che differenzia un film catastrofico d’autore da un film catastrofico soltanto, come al contrario riusciva a fare Romero con i suoi zombi.

TRAMA

Una dirigente aziendale americana torna a Minneapolis da un viaggio di lavoro a Hong Kong con i sintomi dell’influenza. In poche ore ha le convulsioni, perde conoscenza, muore. Nello stesso momento, altre persone con gli stessi sintomi muoiono in Cina, a Tokio e a Londra. È l’inizio di una pandemia: la diffusione del virus MEV-1. Scatta la corsa contro il tempo per trovare il vaccino, mentre il numero delle vittime cresce in maniera esponenziale.


di Redazione
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