Confessions

Apprezzato e premiato in Italia al Far East Festival di Udine, l’ultimo lungometraggio del giapponese Tetsuya Nakashima vanta anche una Nomination all’Oscar come Miglior Film in Lingua Straniera. Confessions è una storia agghiacciante e perversa fatta di violenza insensata e cieca, che descrive l’adolescenza aberrante e tormentata di un gruppo di studenti e le vicende dolorose di Moriguchi, la loro insegnante. Forte di un impianto figurativo accattivante e ricercato, il film porta il racconto in una dimensione visiva abbagliante e gelida insieme, dove i cromatismi desaturati e la perfetta geometria dei movimenti di macchina creano un’atmosfera che a tratti sfiora l’iperrealismo.
Il racconto si divide in capitoli, ognuno dei quali coincide con la “confessione” di uno dei protagonisti, che si muovono tutti attorno al medesimo evento: l’uccisione immotivata, da parte di due giovani studenti, della figlia di Moriguchi e poi la vendetta della stessa insegnante, che decide di dare una lezione personale ai suoi alunni, ragazzi che vivono avulsi dalla realtà in una dimensione dominata da uno spaventoso cinismo, senza neppure esserne del tutto coscienti.
Parabola fredda e amara sull’insensatezza del male, il film di Nakashima descrive una generazione profondamente nichilista, che appare spaventosamente de-sensibilzzata rispetto alla violenza e totalmente incapace di stabilire un contatto reale e concreto con il mondo circostante. D’altra parte, l’universo degli adulti – da cui questi adolescenti sono circondati – non sembra essere troppo diverso dal loro; se i ragazzi sono dei potenziali mostri assolutamente incapaci di distinguere il bene dal male, anche gli adulti sono spesso descritti come individui crudeli e insensibili. Per questo motivo, più che una riflessione su una certa complicata fase della crescita, Confessions appare come una meditazione più ampia ed estesa sul male e sul cinismo in senso lato, e soprattutto sulla sconcertante gratuità e banalità del male stesso. L’inconsapevolezza dei carnefici (anzitutto gli studenti Shuya e Naoki, responsabili della morte della bambina) più che contribuire, almeno in parte, a discolparli, finisce paradossalmente per far apparire le loro azioni ancor più condannabili, poiché completamente vuote di senso. Allo stesso modo, la vendetta di Moriguchi (che dirà ai ragazzi di averli contagiati con del sangue infetto da HIV), che in teoria vuole essere una lezione sull’importanza della vita, si trasforma presto in una punizione sterile e inutile, e tradisce in fondo da parte di lei il comprensibile desiderio di infliggere del male ai ragazzi piuttosto che di “rieducarli”.
Nel mondo descritto da Nakashima non c’è, insomma, alcuna redenzione possibile; gli innocenti (la bambina uccisa, e poi la giovane studentessa che si invaghisce di Naoki) sono destinati a soccombere. D’altro canto le vittime (Moriguchi, madre straziata dal dolore, e in un certo senso anche Naoki, abbandonato piccolissimo dalla propria madre) hanno un’unica possibilità: divenire a loro volta carnefici. La differenza sostanziale, quindi, tra gli studenti assassini e la loro insegnante, sta non tanto nelle azioni da loro compiute quanto nella cognizione del senso e del significato (assente del tutto nei ragazzi) di tali azioni.
Nakashima impone al suo film di procedere in maniera volutamente programmatica e rigida, a livello narrativo e strutturale ma anche sul piano concettuale: tutto si sviluppa e prende forma attraverso un irreversibile concatenarsi di cause ed effetti, quasi come in una formula matematica in cui non è possibile mutare i risultati. Le immagini trasparenti e limpide del film, con i suoi ralenti e le sue inquadrature eleganti e perfettamente equilibrate, esprimono appieno il senso di questa visione estremamente tragica e lucida del reale, mentre la sofferenza lacerante dei personaggi, così follemente compressi in se stessi, sembra prendere forma nelle note trascinanti e malinconiche del brano Last Flowers dei Radiohead che fa da colonna sonora.
Molto lontano insomma dalla tavolozza pop, colorata e vivace del precedente Kamikaze Girls – film che rese famoso il regista a livello internazionale – Nakashima ci consegna stavolta un’opera caratterizzata da un’incredibile raffinatezza formale, intimamente splendente di una nera, angosciosa bellezza.
TRAMA
L’insegnante Moriguchi decide di abbandonare la professione e di tenere un’ultima lezione ai suoi studenti sul valore dell’esistenza. La sua vita è stata macchiata da una grande tragedia: l’uccisione della sua giovane figlia. Ma Moriguchi ritiene di sapere chi siano stati gli assassini di sua figlia: due suoi allievi.
di Arianna Pagliara