Come Dio Comanda

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come_dio_comanda-salvatoresFare un film è un’operazione molto complessa, a livello produttivo, registico e anche concettuale. Se non si possiede un’idea precisa di cinema, pur sapendo inquadrare, girare, montare e dirigere gli attori si può finire per realizzare un oggetto indefinibile e incompiuto.
Facevamo tali riflessioni assistendo alla proiezione di Come Dio Comanda, ultima fatica registica diGabriele Salvatores. Strana, quest’ultima opera dell’autore di Io non ho paura. Certamente molto ambiziosa, sicuramente prolissa e discontinua, caratterizzata da sublimi intuizioni visuali e fatali cadute narrative.
E poi, cercando di arrivare fino al cuore di questa operazione creativa, ci si deve porre una domanda precisa: qual è il reale nocciolo contenutistico di questo racconto di disagio sociale e umano, di violenza e isolamento psicologico/affettivo?
Come sempre, eviteremo di partire dall’analisi dei contenuti del romanzo di Niccolo Ammaniti, poiché, non ci stancheremo mai di dirlo, cinema e letteratura sono linguaggi diversi e un film è un “luogo altro” rispetto al romanzo da cui è tratto. Nel lavoro di Salvatores, la figura del disadattato nazista/razzista che affronta un’esistenza drammatica in una provincia di montagna chiusa in un autismo sociale devastante ci è sembrata troppo tollerabile e edulcorata. Emergono più, di un simile ributtante personaggio, i lati positivi, i sentimenti personali piuttosto che la follia delle sue convinzioni politiche caratterizzate da antisemitismo, xenofobia e odio etnico allo stato puro. Forse un regista non dovrà esprimere giudizi morali, ma allo stesso tempo chi fa cinema dovrebbe necessariamente porsi il problema dell’effetto che le azioni e le parole di simili personaggi potrebbero avere sul pubblico. La relazione tra personaggio, contenuto e forma è cruciale nel cinema e se tale relazione non produce la messa a fuoco perfetta di un’inequivocabile linea contenutistica possono verificarsi fraintendimenti pericolosi.

La struttura del racconto del film è poi caratterizzata da una lunghissima, estenuante, chilometrica sequenza di violenza e morte (notturna e sotto un nubifragio) che sfinisce letteralmente lo spettatore in un’inutile ossessiva ripetitività delle azioni e delle inquadrature. Altra questione spinosa è la partecipazione di Elio Germano, nel ruolo del “matto del villaggio”. Questo attore è certamente uno dei casi di sopravvalutazione più eclatanti del cinema di casa nostra. Gli vengono continuamente affidati personaggi terribilmente difficili che inevitabilmente finiscono per evidenziare i limiti macroscopici di un interprete che deve ancora crescere molto a livello professionale.
Tutti i fattori appena elencati contribuiscono a rendere Come Dio Comanda un lungometraggio denso di vuoti e di difetti che solo parzialmente sono contrasti da un’impostazione visuale di straordinario respiro. Le inquadrature di una natura friulana cosi straniante da apparire quasi astratta/metafisica sono i soli elementi linguistici/espressivi che consentono al film di “rimanere in piedi” per tutta la sua durata. Un’ultima considerazione riguarda l’uso della musica. Salvatores somiglia sotto questo aspetto a Wenders. La differenza tra i due cineasti è che il primo si lascia a volte prendere la mano, trasformando alcune sequenze in gratuiti videoclip senza reale connessione con il tessuto formale dell’opera mentre il secondo usa il rock come vero e proprio “ingrediente” sostanziale del linguaggio audiovisivo.


di Maurizio G. De Bonis
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