Coffee & Cigarettes

coffee and cigarettes

coffee and cigarettesColleghi, conoscenti, amici, cugini, gemelli, è un continuo gioco di specchi quest’ultimo film di Jim Jarmush. Con un raffinato gusto retrò, un bianco e nero appena sgranato e sporco, un tono e un’atmosfera deattualizzanti, vengono inscenati una serie di incontri, in brevi cornici episodiche, nello spazio di un tavolino da bar, giusto il tempo di un paio di caffè e qualche sigaretta.
Più che di cornici però sembra trattarsi di buchi, di intervalli, il cinema qui si mette in pausa- assenza di movimento, mancanza di continuità diegetica- dominano il paradosso, l’assurdo, il non-sense. Ciò che su tutto emerge in questa situazione di stallo sono proprio i personaggi, musicisti, cantanti, attori, star, si tratta di personaggi che recitano se stessi ma con una sottile sfasatura, come se fossero impercettibilmente fuori-sync. È questo il paradosso di base diCoffèe & Cigarettes, la ripetizione ossessiva del contesto spaziale- un tavolino, un angolo di bar- convoglia sottili differenze, l’attività compulsiva di un incontro a base di caffè-e-sigarette dispiega un continuum fatto di frammenti, vuoti, attese e tempi morti, gli attori, sempre simili sempre in qualche modo differenti se non opposti, recitano spesso se stessi con un effetto di stridente straniamento brechtiano.

Cate Blanchett interpreta il doppio ruolo di due cugine agli antipodi, Roberto BenigniSteven Wright due personaggi interscambiabili – si scambiano il posto così come l’appuntamento dal dentista- e poi ancora fino alle grandi sostituzioni immaginarie, Elvis Presley non era più lui, si trattava infatti proprio dell’altro. Questa leggenda metropolitana raccontata da Steve Buscami, che assume i connotati di parabola postmoderna sulla sparizione della realtà dietro l’immagine- il delitto perfetto- è una delle tante mise en abyme del film: più si scambiano gli uguali più aumentano le differenze, e lì, nell’immagine, si nascondono micro-macrodifferenze, sottrazioni, sostituzioni, ma anche analogie, parentele, simmetrie, convergenze…

L’immagine dello specchio, del doppio, del riflesso è ricorrente nel film, i personaggi sono sempre in qualche modo catturati nei loro momenti di pausa, fuori della scena, in un dietro-le-quinte che non è un camerino ma un bar, davanti ad uno specchio che è l’altro come simile, che è il simile (cugino, gemello, collega, patner) come altro. D’altronde è lo stesso film che inevitabilmente si proietta su se stesso, all’indietro, verso le immagini di Down By Law (ma a tratti ‘appare’ anche Dead Man), così simile, così diverso.
Su tutto domina il fantasma, in questo mostrarsi dei personaggi che recitano se stessi in una luce diversa, quotidiana, in questo riemergere dal passato- Benigni, Waits, Bill Murray-ghostbusters – nella sinfonia di Mahler evocata alla fine del film. Ma la chiave con cui questo fantasma allo specchio (immagine dell’immagine) viene letto è quella dell’ironia, del paradosso, infine dell’umorismo, la tristezza divenuta leggera, la risata un po’ malinconica di una pausa dal proprio lavoro, dal proprio ruolo, dalla propria immagine, in un momento riflessivo che ‘vuole durare’, nella pausa della vita.


di Daniele Guastella
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