Cloud Atlas

Film complesso nella struttura, non sempre immediato nella fruizione, richiede completa dedizione da parte dello spettatore a cui non è concesso di distrarsi pena l’incomprensione di qualche parte di un contenitore narrativo che racchiude sei storie spalmate nell’arco di circa 500 anni dal 1839 al 2321 raccontate con un montaggio che alterna con durate dissimili le vicende dedicando ad ognuna di esse di volta in volta da pochi secondi a vari minuti.

Dopo la fatica iniziale, il film inizia ad essere affascinante ed a coinvolgere anche se il livello differente di qualità delle sue varie componenti costringe ad un ulteriore sforzo per recepire il massimo del messaggio che nel romanzo “L’atlante delle Nuvole” di David Mitchel base della storia era nettamente più chiaro: del resto, lo scrittore ha sempre detto che il suo scritto era impossibile traslarlo sul grande schermo.

Curiosa la storia di una produzione che ha iniziato a muovere i primi passi nel 2009, con l’annuncio del regista tedesco Tom Tykwer del progetto di trarre un film da questo romanzo di cui i fratelli Wachowski detenevano i diritti. Doveva essere lui l’unico director ma nel 2011 i creatori della saga di Matrix decisero di affiancarlo perché i finanziatori iniziavano ad essere preoccupati di un budget da 140 milioni di dollari poi ridotto a ‘soli’ 100 milioni.

Al capitale hanno partecipato varie di società di quattro nazioni, personalmente i tre registi con accordi sulle loro spettanze e Tom Hanks che ha contribuito con parecchio denaro. Ed in ogni scena si capisce come siano stati spesi i denari…

Girato da due diverse troupe in parallelo, dà l’impressione spesso di essere un kolossal in cui gli autori hanno voluto dimostrare più la loro bravura che non la validità dello script, più il gusto nell’utilizzo del trucco sugli interpreti che non sulla loro espressività. La scelta di fare coincidere momenti topici delle sei storie in pochi minuti preclude la possibilità di un vero piacere da parte dello spettatore, troppo impegnato a capire per apprezzare certe finezze.

Tre episodi realizzati dai fratelli, i due nel futuro e quello nel diciannovesimo secolo, gli altri da ascrivere all’autore di “Lola corre”. Sicuramente meglio riusciti i primi, riescono a trainare gli altri grazie al montaggio originale ed a tratti poco prevedibile che risveglia attenzione.

Tredici attori principali spesso utilizzati in tutti gli episodi con personaggi che creano un po’ di confusione perché buoni divengono cattivi e viceversa, donne interpretano uomini e un trucco a tratti grottesco priva della possibilità di riconoscere addirittura chi ci sia sotto la maschera (Hugh Grant cannibale tutto dipinto e con denti marci). A questo punto è anche difficile giudicare le prove complete dei pur bravissimi interpreti che hanno pagato lo scotto delle ‘follie’ registiche che li hanno varie volte costretti ad essere marionette privi di espressione nelle mani dei tre autori.

Tom Hanks crea personaggi a tutto tondo, Hugh Grant alterna buoni momenti ad altri in cui rasenta il ridicolo, Susan Sarandon è sempre di classe ma non necessariamente brava, Halle Berry perfetta, Hugo Weaving e Jim Sturgess molto funzionali.

Occupiamoci ora in dettaglio dei sei episodi, proponendoli in ordine cronologico.

Il Viaggio nel Pacifico di Adam Ewing (1839) parla di giovane dell’alta società che è mandato oltremare dal suocero per seguire i suoi loschi affari ma che sulla nave incontra schiavo fuggito a sicura morte di cui diviene amico e protettore mentre perfido medico lo avvelena per mettere le mani sull’oro che lui porta in patria. In maniera fin troppo epidermica si parla di schiavismo, della trasformazione di giovane da assuefatto sfruttatore a futuro combattente per la parità dei diritti. Molto, troppo lo spazio donato al grottesco medico di Tom Hanks, ininfluente la figura dello schiavo peraltro bene interpretata da David Gyasi, interessante più per la bravura dei truccatori che non per suoi meriti particolari la figura del giovane ricco interpretato da Jim Sturgees.

Lettere da Zedelghem (1936) narra di giovane musicista inglese omosessuale che riesce a farsi assumere come copista da noto ed anziano musicista belga. Il rapporto tra i due è complesso poiché ognuno vuole trarre con l’inganno il massimo dal reciproco rapporto. Tutto è raccontato tramite il carteggio col suo amante che cercherà di raggiungerlo per aiutarlo, ma invano. Il tono del melodramma soffoca l’interesse per la storia, peraltro non approfondita nella psicologia dei personaggi e nello sviluppo del rapporto. Ben Whishaw poco convince nel composito ruolo del giovane musicista, Jim Broadbent grottescamente truccato è inesistente, l’amante del giovane James D’Arcy è ininfluente per l’economia generale.

Half-Lives – Il primo caso di Luisa Rey (1972) racconta di giovane reporter che indaga, a rischio della sua stessa vita, su loschi affari, verità taciute sulla mancata sicurezza di centrale nucleare. Si imbatte in anziano dirigente dell’azienda ‘cattiva’ che gli svela segreti che non dovrebbero pagando con la vita. Halle Berry è completamente a proprio agio in un ruolo tutto sommato lineare, James D’Arcy ridotto anziano ha poche battute ma quelle giuste. Nulla di sconvolgente, ma di buon mestiere.

L’orribile impiccio del Signor Cavendish (2012) racconta di un anziano editore che non ha mai avuto successo nella sua vita. Dopo che un suo scrittore uccide gettandolo da un terrazzo il critico che aveva di lui un giudizio negativo ottiene grosse vendite e buoni guadagni. Ma i violenti fratelli dell’omicida gli chiedono i diritti d’autore che lui non è in grado di dare; chiede aiuto al suo fratello maggiore che con l’inganno lo fa rinchiudere in casa per anziani gestito come un carcere. Jim Broadbent descrive l’anziano con ironia e discreta credibilità, Hugh Grant nel ruolo del fratello è poco meno di una macchietta: la sua vendetta nei confronti dell’editore è dettata dal fatto che lo aveva cornificato con la bella moglie.

Ha toni da “Cocoon” con la fuga di anziani da casa di riposo in cui si sentono morire, vorrebbe essere una denuncia della situazione degli anziani ostaggi di figli che vogliono disfarsene ma, in definitiva, è un’innocua commediola.

La Preghiera di Sonmi~451 (2144) è ambientato a Neo Seoul, nella Corea del Sud, dove il totalitarismo sfrutta gli essere umani alla stregua di carne da macello con il fine di portare avanti il sistema. Sonmi~451 è un clone che grazie ad un ribelle scopre terribili verità e decide, coscientemente, di immolarsi per la causa comune.

Omaggio nel titolo di Fahrenheit 451 di Truffaut, è quello che più si avvicina alle atmosfere di Matrix soddisfacendo chi dai fratelli Wachowski volevano e speravano solo questo. Bene sviluppato, con immagini calibrate ed efficaci, ha il limite della scarsa presenza di originalità.

Dovrebbe essere una forte presa di posizione contro il totalitarismo, sull’assurdità di sacrificare altre vite (cloni od animali che siano) ma si risolve unicamente in un buon momento di fantascienza. La diafana Bae Doona è assolutamente nella parte, il ribelle Jim Sturgess sicuramente meno.

Sloosha Crossing e tutto il resto (2321) dice di Zachry, anziano abitante di isola ridotta allo stato primitivo in cui si professa il culto di Sonmi considerata una dea. Giunge una prescelta che salva la vita di nipote dell’uomo ed ottiene da lui di essere accompagnata sulla sommità di monte dove vive il diavolo. Qui scoprirà cose che cambieranno la sua vita e quella dell’intera umanità.
Personaggio perfetto per Tom Hanks che lo dipana con grande bravura, si contrappone con naturalezza alla prescelta Halle Berry; ridicolo, semmai, il capo dei cannibali Hugh Grant.

Tra i vari episodi ci sono svariati punti di contatto che non riteniamo dovere anticipare: di sicuro è che costringono lo spettatore a non dare mai nulla per scontato.

Giudizio finale complesso e sicuramente variabile secondo lo spirito e l’umore di chi guarda il film. Freddamente, si ha l’impressione di assistere ad un vacuo gioco di intellettualismo stilistico ma, nello stesso tempo, in vari momenti le emozioni scaturiscono dal fondo e permeano chi sa e vuole capirle.

Diciamo che c’è un certo equilibrio tra il bello ed il brutto, il riuscito e lo sbagliato. Per questo, opera non da buttare ma nemmeno da glorificare.

TRAMA

A metà ottocento un avvocato americano si adopera contro la schiavitù, negli anni ’30 un giovane compositore bisessuale viene incastrato da un grandissimo autore presso il quale lavora, a San Francisco negli anni ’70 una giornalista cerca di svelare un complotto per la realizzazione di un reattore nucleare, ai giorni nostri in Inghilterra un anziano editore viene incastrato e internato in una casa di cura da cui cercherà di fuggire, nella Seul del 2144 un clone si unisce ai ribelli e scopre terribile verità, nel 2321 sulla Terra ridotta all’età della pietra da una non ben identificata apocalisse avviene l’incontro tra una scienziata venuta dal tempo e un uomo che riuscirà a cambiare il mondo.


di Redazione
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