Cinefilia natalizia
Le firme di CineCriticaWeb ricordano i loro film più amati tra quelli ambientati durante le Feste: una guida cinefila per allietare il vostro periodo natalizio.
Gaia Serena Simionati sceglie
La vita è meravigliosa
Cinque nominations agli Oscar e un Golden Globe, vinto per la miglior regia, non sono abbastanza per descrivere il feel good mood che questo film, di osmosi natalizia, sa devolvere in buoni sentimenti. La vita è meravigliosa (1946) di Frank Capra è di sicuro tra i must seen movies, classico dei classici, imperdibile, soprattutto a Natale. In epoche buie come questa, tra guerre, devastazioni, economie in collasso, un film che ispira tonnellate di ottimismo, tra eleganza e speranza, ci vuole, come la panna sulla cioccolata. La vita è meravigliosa narra di un meraviglioso James Stewart, disperato padre di famiglia che sacrifica tutto quello che ha per gli altri. Fino a che, alla viglia di Natale, medita il suicidio. Ma l’intervento di Henry Travers, suo angelo, vanifica il tentativo e riposiziona il protagonista facendogli rileggere il Bright Side of Life. Imperdibile da soli o in famiglia per riaccendere speranze.
Mariella Cruciani sceglie
Parenti serpenti
Parenti serpenti (1992) di Mario Monicelli non è, probabilmente, il miglior film di Natale e neanche il massimo della produzione del cineasta toscano ma è, inesorabilmente, la prima pellicola che mi viene in mente pensando al periodo delle Feste. Si tratta, più che di una commedia, di una farsa, sceneggiata dal regista stesso insieme a Suso Cecchi D’Amico, Piero Bernardi e Carmine Amoroso, all’epoca sconosciuto finalista del Premio Solinas. Oltre al solido impianto di scrittura, il film annovera, tra i suoi pregi, un cast notevole di attori, capaci di caratterizzare senza scadere nella macchietta: Paolo Panelli e Pia Velsi sono gli anziani genitori, Marina Confalone, Alessandro Haber, Monica Scattini, Renato Cecchetto sono i figli, ormai adulti, della coppia. Tutti si ritrovano, con i rispettivi compagni e con i figli, intorno ad una tavola imbandita e, all’inizio, si sforzano di mostrarsi rispettabili e fingono di volersi bene. Nella seconda parte, però, dopo l’annuncio dei genitori di voler andare a vivere presso uno di loro, emergeranno malumori, ripicche, accuse reciproche per arrivare, poi, a un finale letteralmente esplosivo. A metà tra Brutti Sporchi e Cattivi (1976) di Scola e i cinepanettoni in voga in quegli anni, Parenti Serpenti è il giusto antidoto per chi non si fida della fittizia allegria natalizia e vuole andare oltre l’armonia delle apparenze. Per cinici veri.
Roberto Baldassarre sceglie
I magi randagi
Per le festività natalizie – ma anche dopo va benissimo – sarebbe utile recuperare I Magi randagi (1996) di Sergio Citti. Personale rielaborazione del vecchio progetto di Pier Paolo Pasolini “Porno-Teo-Kolossal”, il settimo lungometraggio di Citti è una favola picaresca, nel quale tre saltimbanchi (un italiano, un francese e un tedesco), folgorati dalla visione della stella cometa (rappresentata con un femminile viso lascivo), si trasformano in Magi alla ricerca del bambino Gesù. Un viaggio iniziatico, ma non ascetico, in cui i tre constateranno che ogni bambino che nasce è un novello Gesù. Un pellegrinare che gli permette – e ci permette – di vedere anche la realtà italiana degli anni ’90. I Magi randagi è stata una pellicola sofferta (lunghi anni per riuscire a produrla) e sfortunata (a una buona accoglienza al Festival di Venezia è seguita una distribuzione con pochissime copie). Un’opera inusuale, anzi asincrona, nel panorama del cinema italiano degli anni Novanta, con cui Citti confermava le sue doti di poeta dell’immagine pura e di narratore genuino, capace però di profonde osservazioni sulla società nostrana. Quella che vediamo è un’Italia allo “sbando”, in cui la gente preferisce vedere lacrimose e stupide telenovele (in riferimento alle Tv berlusconiane), e con un montante razzismo (la propaganda della Lega). Ma ne I Magi randagi c’è anche uno degli omaggi più belli e sentiti a Pasolini: i tre saltimbanchi giungono all’idroscalo di Ostia, dove fu assassinato il poeta, e assistono alla nascita di un bambino. Dopo un’iniziale diffidenza da parte di tre baraccati, il trio di saltimbanchi è accolto con rispetto, e nell’improvvisato banchetto spunta una grossa forma di ricotta. I tre baraccati sono interpretati da Franco Citti, Ninetto Davoli e Mario Cipriani, mentre la levatrice è Laura Betti. Una candida favola di Natale schietta, al contempo laica (l’unico miracolo è la vita) e rispettosa del devoto (non ci sono invettive).
Boris Schumacher sceglie
Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato
Da bambino iniziavo a percepire lo spirito natalizio quando arrivavano le attese e agognate vacanze: due settimane di tregua dalla quotidianità scolastica fatta di otto lunghe ore da passare tra i banchi, la mensa e la ricreazione. Di quelle due settimane, destinate a svanire in un lampo, la parte migliore erano i primi giorni che portavano a Natale, trascorsi a fantasticare sui regali che avrei ricevuto e in compagnia dei film natalizi che affollavano i palinsesti della TV. Il mio preferito era – e forse lo è tuttora – Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato diretto da Mel Stuart nel 1971 con un formidabile e travolgente Gene Wilder, ai tempi uno degli attori che più amavo e adoravo insieme a Jerry Lewis. Il suo Willy Wonka era un portento nel mantenersi impenetrabile fino all’epilogo, giustamente “spietato” e irremovibile nei confronti dei bambini odiosi e viziati che infrangevano le regole durante il viaggio all’interno della magica e coloratissima fabbrica di cioccolato popolata dai mitici Umpa Lumpa. Quella magia non l’ho ritrovata da adulto nel deludente remake di Burton, a cui non ho mai perdonato di aver rovinato e banalizzato la caccia ai cinque ambitissimi biglietti dorati contenuti all’interno delle tavolette di cioccolato Wonka che nel film di Stuart era così eccitante, febbrile e frenetica.
Elisa Baldini sceglie
Miracolo a Le Havre
Cos’è la magia del Natale se non quella di vedere andare le cose, finalmente, come vorremmo che andassero? Aki Kaurismaki con Miracolo a Le Havre ci ha fatto un regalo meraviglioso: ha imbastito un mondo dove gli sguardi sono liquidi, le intenzioni buonissime, la cattiveria ha le sembianze cinéphile ed un po’ goffe di un Jean-Pierre Léaud che ci prova a intralciare il bene, ma ha tutti contro, anche l’ordine costituito. Un concentrato minimalista, decadente e per niente zuccheroso di accoglienza, condivisione, lotta di un gruppo di umani contro le leggi sterili di un mondo inumano. In Miracolo a Le Havre sono (quasi) tutti aiutanti di Babbo Natale, e c’è anche un elfo di tutto rispetto: un fantastico Little Bob (Roberto Piazza) che accetta di suonare al concerto di beneficienza solo quando è certo che la sua amata lo abbia perdonato. All’ultima casella del calendario dell’avvento ovvero alla fine del film, arriva il Miracolo: non sulla 34ª strada, ma nel quartiere dove si pensava che i miracoli non potessero accadere.
Andrea Vassalle scegli
Scrivimi fermo posta
Non c’è occasione migliore dell’avvento delle feste di Natale per rievocare e immergersi nell’atmosfera, nella magia e nelle splendide armonie della commedia classica hollywoodiana, i cui film, tranne poche eccezioni, rischiano sempre più di scivolare nell’oblio. È proprio nel periodo natalizio che è ambientato Scrivimi fermo posta (1940), uno degli apici della filmografia di Ernst Lubitsch, tratto da una pièce del commediografo ungherese Miklós László. A fare da teatro è un negozio di articoli da regalo, in una Budapest che appare quasi sospesa nel tempo e nello spazio, in cui si incrociano i destini di due commessi interpretati da James Stewart e Margaret Sullavan. L’unità di luogo è pressochè totale e la Matuschek and company diventa un microcosmo che, come spesso avviene nel cinema di Lubitsch, sembra estraneo al fluire della Storia, delineato e ampliato dalle perfette geometrie dei dialoghi, dei personaggi e degli spazi. Un film tutt’oggi irresistibile, sorretto da un mirabile e armonico equilibrio tra tenerezza, ironia e malinconia, e impreziosito da personaggi secondari indimenticabili.
Emanuele Di Nicola sceglie
Il nostro Natale
La figlia chiede una bambola costosa per Natale. I genitori sono due pusher che tagliano la droga quando la bimba va a dormire: fanno di tutto per esaudire il desiderio. Uno degli ultimi registi maledetti, Abel Ferrara, si muove nel luogo prediletto, i bassifondi di New York, per ribaltare radicalmente l’archetipo del film natalizio: c’è un obiettivo da raggiungere, il regalo da fare, ma lo scenario viene riscritto nel carattere del noir tra bande rivali, sequestri, polizia. Anche un prete spaccia. Dopo gli anni Novanta dei cattivi tenenti, Ferrara apre il Duemila riversando ancora la propria esperienza autobiografica – la tossicodipendenza – sullo schermo per interposta metafora. Il Natale è bianco di neve e cocaina. È tutta l’alta società americana a inalare la roba, forse il mondo intero. Lillo Brancato e Drea de Matteo sono solo due genitori che la servono, prima di baciarsi sotto il vischio. Un Canto di Natale alternativo.
Michela Manente sceglie
Love Actually – L’amore davvero
Il film più cult di Natale e più “love friendly” è Love Actually – L’amore davvero, scritto e diretto da Richard Curtis (l’inventore di Mr. Bean), che vede intrecciare dieci storie nella Londra attuale accomunate dal clima natalizio di inconfondibile, bianca bontà. La pellicola trova nell’amore il più prezioso ingrediente per trascorrere le feste di Natale – anche davanti a uno schermo – dando vita a una commedia dal sapore british incorniciata da una colonna sonora inconfondibile e amalgamante grazie a brani come l’indimenticabile Love is All Around (colonna sonora di Quattro matrimoni e un funerale) a cui si aggiunge, sul finale, l’intramontabile All you need is love dei Beatles. “L’amore è nell’aria”, ma lo sono anche le delusioni e le illusioni sentimentali. Parte del motivo per cui il film è particolarmente amato è perché appare così onesto e nel trattare l’umanità più varia. Trovate in Love Actually la vostra storia del cuore e non vi pentirete di rivedere ogni anno questo lavoro, giunto al ventesimo anniversario.
Ignazio Senatore sceglie
Fuga dal Natale
In Fuga dal Natale di Joe Roth (2004), decretando la lotta agli addobbi, ai regali e a Frosty, il pupazzo di neve da issare come tradizione sul tetto di casa, i Frankie prenotano una crociera ai Caraibi. Una decisione che getta lo scompiglio nella tranquilla comunità di Hemlock Street, tacciata come un atto di ribellione. La vigilia di Natale, giorno della partenza, Blair, figlia della coppia, annuncia che torna a casa in compagnia del fidanzato. Come faranno i nostri eroi, in un paio d’ore, a comprare un albero di Natale, addobbarlo, a cucinare un tacchino farcito e a rispolverare dalla soffitta il simpatico Frosty? In questa divertente commedia, il regista ricorda che l’essenza del Natale va oltre la corsa consumistica ai regali e al rispetto delle rigide convenzioni sociali, ma è da ricercare in quel sentimento, intimo e privato, che ci fa sentire parte di un gruppo. Non a caso i componenti della comunità daranno una mano ai Frank per restituire a Blair, al suo arrivo, la magia del Natale.
Guido Reverdito sceglie
Regalo di Natale
A Natale tutti buoni? Forse non è sempre così. E per capirlo non è il caso di andare a scomodare né Scrooge né il Grinch. Basta tornare al 1986 e rivedersi la partita-beffa di poker che in Regalo di Natale di Pupi Avati quattro amici (ma in parte anche acerrimi nemici) giocano la notte di Natale per incastrare un presunto pollo e rifarsi di vite all’ablativo soffocate da debiti e disastri assortiti. Summa insuperata di ferocia, cinismo e perfidia, questo kammerspiel delle beffe allestito da Pupi Avati da anni funziona da toccasana per quanti provano motivate idiosincrasie di fronte al buonismo forzato e alla commercializzazione spinta di un evento che ormai tutto è meno che la principale festività religiosa dell’anno. Di vero qui c’è solo la ferocia di una messinscena di cui sono al corrente tutti meno lo spettatore e il personaggio di uno strepitoso Diego Abbatantuono convinto di poter vivere la serata della svolta, ma costretto non solo a digerire a malincuore la presenza dell’ex-amico che gli aveva portato via la moglie, ma anche a scoprire all’alba di esserne stato tradito per una seconda volta. Una cattiveria da pugno nello stomaco che a quasi quarant’anni dall’uscita nelle sale continua a far percepire come un classico la stangata denoiantri che per molto tempo ancora resterà Regalo di Natale.
di Redazione