Child 44 – Il bambino 44
Andrej Romanovič Čikatilo, anche noto come il Mostro di Rostov, fu responsabile di un numero enorme di efferati omicidi nella Russa degli anni Ottanta. Le sue vittime erano donne e bambini, i cui corpi presentavano spesso i segni di una violenza brutale e indicibile. Solo dopo che alcuni innocenti furono arrestati arbitrariamente al suo posto, le autorità riuscirono a fermare l’operato del sadico e folle omicida, che si dichiarò infine colpevole di più di cinquanta delitti.
Questi i fatti di cronaca cui si ispira l’ultimo film del regista Daniel Espinosa, prodotto tra gli altri da Ridley Scott. Non è la prima volta però che la macabra e agghiacciante vicenda di Andrej Čikatilo viene portata sullo schermo. Nel 2004 uscì infatti Evilenko dell’italiano David Grieco, con protagonista Malcom McDowell, tratto dal libro Il comunista che mangiava i bambini scritto dallo stesso regista. Con una prosa agile e asciutta Grieco non si limita, qui, a costruire un ottimo thriller traboccante di inquietudine e tensione, ma fa di più: rilegge, tra le righe, attraverso la storia di un vero e proprio cannibale, la deriva di una società intera, prima piagata e vessata da una guerra terribile, poi annebbiata da una retorica di regime asfissiante e onnipresente, che schiacciava e cancellava l’identità del singolo in nome di una ideale uguaglianza. Infine, dopo il devastante crollo, tra le macerie di questa dimensione socio-politica, nasce e cresce indisturbata la follia omicida di Evilenko (questo il nome che Grieco dà al killer). Ammettere l’esistenza di un tale mostro sanguinario avrebbe significato, in quel frangente, in quel momento storico, evidenziare un’incrinatura in un sistema sociale e educativo che si pretendeva invece infallibile e perfetto; Evilenko si configura dunque, entro questo quadro, come elemento da censurare e secretare. Ma il male che viene negato e ignorato non può che crescere con vigore ancora maggiore.
Anche il film di Daniel Espinosa, regista svedese di origine cilena, si muove dunque sull’onda di questo discorso, e tuttavia sposta completamente a margine la riflessione sull’assassino per concentrarsi su una serrata critica alla paranoica e oppressiva Russia stalinista.
Espinoza a sua volta prende spunto da un libro, l’omonimo Child 44 dell’inglese Tom Rob Smith, e in conformità con questo sposta l’azione del killer dagli anni Ottanta ai Cinquanta. Protagonista indiscusso è l’agente della polizia di Stato Leo Demidov, eroe di guerra che si scontra, per tutta la durata del film, con un eterno amico/nemico: il collega Vassili, che al fronte veniva deriso e considerato un codardo e che ora, dall’altro della sua posizione all’interno dell’MGB, esercita il suo potere in maniera vigliacca e spietata. Leo viene messo a dura prova quando sua moglie Raïssa viene denunciata come traditrice, ma decide di restarle fedele e di non arrestarla. Pagherà cari i suoi sentimenti, poiché verrà esiliato da Mosca e confinato assieme alla donna in un paese degradato e lontano da tutto, dove entrambi condurranno una vita di miseria e umiliazioni.
Ma qui le vicende dei due coniugi incrociano quelle del killer di bambini, che a Mosca aveva già ucciso il figlio di un collega di Leo e che ora imperversa nelle campagne. Osteggiati dalla polizia moscovita, che vorrebbe negare o nascondere l’esistenza dell’omicida quanto la ferocia sconvolgente dei delitti, i due decideranno di catturare questo assassino crudele e disumano a costo di mettere a repentaglio le loro stesse vite.
Ottime e molto curate l’ambientazione e la fotografia, convincenti le prove attoriali dei protagonisti Tom Hardy e Noomi Rapace, supportati da un cast di tutto rispetto (ricordiamo Gary Oldman e Vincent Cassel). Serrato il ritmo dell’azione che non presenta cedimenti, alternando momenti più dinamici – in cui sangue e violenza non vengono risparmiati – a passaggi più intimi e riflessivi. Eppure, nel complesso, nonostante la varietà, la solidità e le buone potenzialità dei vari elementi in gioco, il lungometraggio di Espinosa non si distingue dagli analoghi prodotti di genere, magari godibili e tecnicamente impeccabili, anche capaci di immergere lo spettatore nelle giuste atmosfere, ma privi di quegli elementi di originalità e di quei tocchi autoriali che fanno, infine, l’identità e i punti di forza di quei film che restano davvero impressi nella memoria.
Al di là di alcuni nodi narrativi che restano parzialmente irrisolti, e del fatto che in qualche caso la psicologia dei personaggi avrebbe giovato di un maggiore approfondimento, Child 44 presenta anzitutto un limite. Sembra infatti che la prima, esibita preoccupazione del regista – pur condivisibile – sia quella di mettere in luce gli aspetti più negativi della Russia di Stalin, descritta come un mondo dominato dal sospetto reciproco, dalla paura e dalla violenza. Denunce, torture, abusi sono all’ordine del giorno, la fiducia è un lusso che nessuno può permettersi, la diffidenza è il primo passo per la sopravvivenza.
Di conseguenza l’indagine sulla mente criminale del Mostro di Rostov resta purtroppo in secondo piano, diventando una storia quasi fine a se stessa che apre solo a tratti il discorso al fuori campo, alla realtà circostante: è in questo senso che il film non convince completamente, per ciò che avrebbe potuto dire e invece omette, e di cui si sente il peso e l’assenza.
Paradossalmente la pur necessaria critica all’universo sociopolitico staliniano avrebbe preso ugualmente forma, e forse in maniera perfino più graffiante, se Child 44 avesse lasciato parlare i fatti, così come era avvenuto nelle raggelanti pagine del già citato Grieco, caratterizzate da un approccio tutto fenomenologico. Espinoza, assillato invece dall’esigenza di sottolineare e palesare certi aspetti, sembra agire in nome di una volontà che appare quasi aprioristica. Troppo preoccupato di plasmare la descrizione a tinte fosche di questo mondo degenerato, il regista racconta in definitiva davvero poco dell’identità del serial killer e nulla dell’infanzia violata delle sue vittime.
Se non si chiamano in causa possibili confronti (M – il mostro di Düsseldorf) e ci si lascia trasportare dalle private vicende di Demidov si può guardare certamente al lungometraggio di Espinoza come un’opera tendenzialmente coerente e sicuramente di buona fattura; se invece ci si aspetta un’approfondita indagine delle complesse e oscure dinamiche della mente di un “mostro” e del rapporto con le sue vittime – anzitutto del “bambino numero 44” del titolo – si può restare in parte disorientati e dubbiosi.
Trama
Nella Russia degli anni Cinquanta Leo Demidov è un agente della polizia di stato. Quando la moglie Raïssa viene accusata di tradimento si rifiuta di denunciarla e viene perciò esiliato da Mosca e condannato a una vita di miserie in un piccolo paese ai confini del mondo. Le sue vicende si intrecciano qui con quelle di uno spietato killer di bambini, che aveva già colpito a Mosca poco tempo prima. Insieme a Raïssa e contro i suoi ex-superiori moscoviti si metterà sulle tracce dell’assassino, deciso a catturarlo a qualsiasi costo.
di Arianna Pagliara