Chien de la casse

La recensione di Guido Reverdito, seguita dalla rassegna stampa a cura di Simone Soranna riguardo a Chien de la casse, di Jean-Baptiste Durand, Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani.

Chien de la casse, di Jean-Baptiste Durand, distribuito da No.Mad Entertainment, è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente motivazione:

«Un’opera d’esordio aspra e sapiente, piccolo gioiello di scrittura e direzione di giovani attori. Un coming of age ambientato nel sud della Francia, dove adolescenti abbandonati ai loro necessari tormenti cercano, attraverso l’amicizia e l’amore, un posto nella vita».

La recensione
di Guido Reverdito

Siamo nel sud della Francia, a Le Pouget, paesino di poche anime nell’entroterra di Montpellier. È lì che vivono Antoine (chiamato da tutti col cognome, Miralès) e Damien (soprannominato Dog). Amici quasi simbiotici dai tempi delle medie, hanno un rapporto ben codificato da sempre: Miralès è il maschio alpha del mini-branco e, come tale, domina bullizzandolo Antoine che invece si lascia offendere e umiliare senza mai fiatare. Come se fosse il cane fedele e sottomesso cui fa preciso riferimento il nomignolo che forse lo stesso Miralès gli ha affibbiato. Cane che appare nel titolo stesso del film e che, non a caso, è anche un personaggio importante perché Miralès non fa un passo senza il fedele Malibar che lo accompagna dovunque facendo da correlativo animale al sottomesso Damian.

Ma quando a Le Pouget arriva Elsa, una ragazza di città che ha scelto di trascorrere nel borgo un mese per disintossicarsi dalla frenesia urbana, del tutto a sorpresa inizia una relazione proprio con Damien. Facendo così entrare in crisi (momentanea) il rapporto tra i due amici, destinati però a ritrovarsi uniti nel bisogno quando, nel finale che non è corretto anticipare, dovranno nuovamente fare squadra insieme prima di separarsi per sempre per seguire il filo dei propri destini.

Film d’esordio dello sceneggiatore e regista francese Jean-Baptiste Durand, nella serata degli Oscar francesi (dove era arrivato un po’ a sorpresa forte di 7 nomination), questo lungometraggio a basso budget ma ad alto tasso di qualità diffusa si è portato a casa sia il César come miglior film d’esordio che quello per la miglior promessa maschile, andato a uno straordinario Raphaël Quenard che, dopo una serie di ruoli secondari a partire dal 2019, lo scorso anno aveva già giganteggiato nei panni del protagonista di Yannick – La rivincita dello spettatore di Quentin Dupieux.

Ma ad aiutare questo attore (che nella realtà ha ormai 33 anni e che nel film sembra improbabile possa essere coetaneo dell’amico Dog, pur avendo lineamenti imberbi da ragazzo) a conquistare l’ambita statuetta è stato di certo il personaggio sfaccettato che Durand gli ha cucito addosso: una specie di guascone che all’apparenza sembra un gradasso capace di esistere solo se attorniato da vittime da bullizzare, ma che a poco a poco si scopre per quello che è. Ovvero un giovane che ha alle spalle ottime letture (cita Montaigne ed Herman Hesse), nonché attenzioni per tutti in paese (fa biscotti per un’anziana vicina, è l’unico a dare retta al matto del paese, e si cura della madre, una pittrice entrata in crisi depressiva dopo la morte improvvisa del marito). Oltre a essere un ottimo cuoco, passione questa destinata a diventare la sua professione nei giorni a venire.

E se questo sbruffone ricorda da vicino il Bruno di Vittorio Gassman ne Il sorpasso, anche il suo rapporto col remissivo Dog sembra richiamare quel titolo mitico di Dino Risi: come il timido Roberto di Trintignan, anche Damian subisce le smargiassate dell’amico bullo senza mai ribellarsi, affidando al silenzio passivo di impercettibili sfumature nelle espressioni del viso il proprio dolore nel dover subire da sempre le umiliazioni inflittegli dall’amico carnefice.

Ma la forza del film non sta soltanto nella ricognizione quasi autoptica di tutte le sfaccettature di questa relazione parzialmente tossica (in cui la metafora cinofila riassume appieno le dinamiche delle forze in campo): è anche il ritratto perfetto di una certa vita di provincia, non solo quella francese, in cui tutti si conoscono, la vita è sempre uguale a se stessa e si finisce incasellati in ruoli fin troppo definiti, dai quali si riesce a evadere solo se si ha il coraggio di inventarsi un futuro fuori dalle mura claustrofobiche che impediscono soprattutto ai giovani di realizzare i propri sogni.

Una breve rassegna della stampa italiana sul film
(a cura di Simone Soranna)

Chien de la casse è stato accolto piuttosto positivamente dalla stampa italiana, che ha apprezzato il coraggio del regista esordiente Jean-Baptiste Durand nel volersi avventurare all’interno di un progetto in apparenza semplice, ma capace di nascondere al suo interno una profondità tematica e di sguardo decisamente matura.

Il film infatti si presenta sulla carta come un lungometraggio molto lineare, come fa giustamente notare Monia Manzo su Close-Up: «opera prima del francese Jean-Baptiste Durand (classe 1983), Chien de la casse si incentra tutto sulla figura di Dog (Raphaël Quenard) e Mirales (Anthony Bajon), amici storici, che si frequentano sin dall’infanzia e vivono a Pouget, un villaggio dell’Hérault. Dog è un tipo silenzioso, particolare nei comportamenti, non molto comunicativo ma un ragazzo dai sani principi, attende la sua chiamata nell’esercito e nel frattempo si trasferisce a Ginevra. Mirales è l’esatto opposto: esuberante, dedico ad attività da piccolo “pusher” locale e con una vena assistenzialista, facendo emergere paradossalmente una parte positiva e tenera del ragazzo, che vive ancora con la madre in modo piuttosto adolescenziale; ciò che invece li divide e li allontana è il fatto che a differenza di Dog, il più scapestrato non ha un programma di vita».

Eppure, bastano pochi attimi per capire quanto il progetto sia decisamente più profondo di quanto sembri. A tal proposito, Massimo Causo, su Film Tv, sintetizza la trama del film sottolineando da subito la complessità della vena drammaturgica che si annida tra i risvolti narrativi. Scrive infatti il critico: «amici di sempre, Dog e Miralès, schegge della stessa vita di provincia che vede l’imbrunire sin dall’alba: inerzia esistenziale ebbra del nettare della quotidianità, gruppi di amici che stanno come muffa agli angoli di strada, famiglie intristite dal vivere… Junkyard Dog (torsione anglofona dell’originale Chien de la casse) squadra lo scenario esistenziale di un entroterra che non è né metropoli né banlieue».

Anche Lorenzo Ciofani, sulle pagine di La rivista del cinematografo, mette in luce la stratificazione del progetto, affermando che «ci sono almeno sei possibili film che si incrociano in Chien de la casse, esordio di Jean-Baptiste Durand premiato con due César (correva per otto statuette: niente male per un’opera prima)».

Infine, è interessante riportare anche il parere di Giulia Rossi, la quale, sulle pagine di Sentieri Selvaggi, loda nuovamente la profondità di sguardo del film, ma più che altro sottolinea la bravura del regista nel firmare, tutto sommato, un’operazione semplice e lineare. Scrive così la critica: «ogni film ha il suo modo di comunicare e su questo si basa il sacro rapporto tra lui e il pubblico. Chi realizza un film sta sempre all’ombra di questo rapporto, accettando la sfida di doverlo mantenere continuamente in equilibrio, pena la rottura del legame con lo spettatore. Chien de la casse, opera prima di Jean-Baptiste Durand, gioca con tutto questo trasformando in pregi quelli che potevano essere limiti fatali, restituendo un film sincero e semplice».


di Guido Reverdito
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