Chi è senza colpa

Per capire la magia di questo noir dal fascino coinvolgente, basterà pensare a chi sono lo sceneggiatore, il regista e gli attori del cast. In pratica, con la sua apparenza dimessa, Chi è senza colpa riesce a convincere pur non raccontando una storia originale e cadendo un po’ in un finale fin troppo prevedibile. Il film si basa sul racconto Animal Rescue (inserito nella raccolta Boston Noir) dello scrittore bostoniano Dennis Lehane che molto ha dato al cinema e che ha utilizzato la sceneggiatura del film come intreccio per il romanzo The Drop, pubblicato al inizio del 2015 anche in Italia. Quest’autore è una delle figure più importanti del panorama letterario americano legato al noir e il suo legame con il cinema è particolarmente stretto. Il Mystic River che Clint Eastwood ha realizzato nel 2003 è tratto dal suo omonimo romanzo, Ben Affleck ha utilizzato Gone Baby Gone nel 2007 per il suo debutto quale regista di lungometraggi e Martin Scorsese ha portato sullo schermo nel 2010 Shutter Island.

In questa occasione, per la prima volta, è anche autore della sceneggiatura e subito si respira l’atmosfera dei suoi lavori letterari in cui hanno più importanza i personaggi e le loro storie personali che la storia sviluppata su cui poggiare le varie realtà di vita dei protagonisti. L’ambiente, le persone creano l’intreccio drammaturgico. Dialoghi ridotti al minimo, atmosfere rarefatte, pochi personaggi di cui racconta il fallimento nella vita. Nessuno dice completamente la verità, quasi per difendersi da una realtà che teme. Si respira il disagio di ognuno per riuscire a recitare esistenze non proprie, per cercare una ragione per esistere.

Per scelta di Lehane, cambia l’ambientazione che nel racconto era Boston, prediligendo una delle location più classica per questo genere di film: la Brooklyn fatta di povertà, gente che si arrangia, case squallide, locali tristi in cui si cerca di dimenticare quello di ancora peggiore che accade fuori.

C’è il titolare del bar che l’ha dovuto cedere alla criminalità cecena di cui accetta ora di essere complice per la raccolta di denaro illecito proveniente soprattutto da scommesse clandestine. Vive assieme alla sorella, forse ricordando tempi di gloria che mai torneranno. Il cugino professa di essere solo un barista ma ha difficoltà a dimenticare il suo passato (quando faceva parte di una banda di balordi); va in chiesa ogni mattina ma non fa la comunione perché ha paura di non essere perdonato per i suoi peccati. Poi c’è una ragazza che conosce perché scopre nel suo bidone della spazzatura un cucciolo di pitbull ferito e con lei inizia un rapporto che potrebbe essere amore e un poliziotto cattolico che deve indagare su rapina subita dal bar ma che ha problemi sul lavoro e, probabilmente, anche nella vita privata. C’è, inoltre, il figlio del boss ceceno rispettato solo per il terrore che crea il padre ma che è poco considerato anche dai propri uomini. Personaggio “jolly” un balordo che si vanta di avere ucciso un uomo, che si scopre essere il proprietario del cane nonché ex della ragazza. E’ lui che con le sue assurde richieste, con attimi di follia condiziona le scelte degli altri. Varie situazioni, dunque, che non sono certo originali, ma che sono in grado di creare una tensione emotiva nello spettatore che attende di sapere lo sviluppo delle vicende.

Qui, il grande merito del belga Michaël R. Roskam che ha saputo costruire una bella storia raccontata senza effetti speciali ma con la normalità che contraddistingue la vite dei personaggi, una normalità all’interno di un ambiente non certo facile. Al secondo film il quarantatreenne Roskam si trasferisce negli Stati Uniti e riesce a mantenere il suo stile che del cinema europeo tiene molto conto, evitando di mettersi a disposizione di una produzione americana in cui il regista è solo un professionista spesso ostaggio di chi investe il denaro. Ma in questo caso il suo compito è stato forse facilitato perché tra i produttori c’è anche lo scrittore e sceneggiatore Dennis Lehane, rispettato perché fino ad ora è sempre stato un vincente.

Roskam è giustamente considerato un autore da seguire con attenzione. Nominato all’Oscar nel 2012 per l’ottimo Bullhead, tratto dal omonimo cortometraggio da lui diretto nel 2005, con questo film si conferma più che una promessa anche se deve lavorare ancora un po’ sui ritmi narrativi. Dalla sua opera prima si è portato dietro il suo pupillo Matthias Schoenaerts, bravissimo anche in Un sapore di ruggine e ossa (De rouille et d’os, 2012) di Jacques Audiard e che recentemente abbiamo visto in Suite Francese (Suite française, 2014) di Saul Dibb come tenente Bruno von Falk. Qui interpreta uno dei personaggi più difficili, il balordo e psicopatico Eric Deeds che col suo modo di fare condiziona un po’ tutti gli altri personaggi. Vuole indietro il cane, non accetta che la sua ex abbia un altro uomo, cerca di distruggere la felicità altrui.

Tom Hardy, bravo e misurato nel rendere la difficile figura del barista Bob, è perfetto nel vivere la trasformazioni interiori ed esteriori di un uomo che si era illuso di potere dimenticare un passato di cui si vergogna. Il cucciolo da proteggere, la ragazza da difendere, la sua sconfitta quando dovrà affrontare il mondo in maniera violenta.

La ragazza, una cameriera stanca per e del lavoro, è Noomi Rapace conosciuta soprattutto per Prometheus (2012) di Ridley Scott di cui è previsto un sequel nel 2016. Una prova equilibrata che le permette di dimostrare bravura anche in ruoli drammatici. James Gandolfini, nella sua ultima interpretazione, è il Cousin Marv ex proprietario del bar che porta il suo nome. John Ortiz, nato a Brooklyn dove il film è ambientato, è il Detective Torres che indaga sulla rapina al bar. Anche lui dice tante bugie, soprattutto a se stesso e per tentare di accettarsi nel suo fallimento. Scopre molte cose ma, forse, preferirebbe dimenticarle. Più macchiettistico il ceceno del pur bravo Michael Aronov, attore che si divide equamente tra teatro e cinema. E’ un cattivo troppo cattivo per essere realmente credibile. Ma il vero protagonista è Rocco, il cucciolo di pitbull conteso da Eric e Bob che permette a quest’ultimo di conoscere la bella Nadia. Il suo personaggio è un cardine per lo sviluppo della sceneggiatura ed è tenerissimo nonostante la nomea che si porta dietro la sua razza.

Inizialmente, il titolo previsto era Animal Rescue, come il racconto da cui era tratto, poi è stato cambiato in The Drop dopo un sondaggio. Presentato al Toronto International Film Festival con un certo successo, ha poi avuto una vita non facile nelle sale. In Italia è stato proposto per la prima volta a fine novembre al Torino Film Festival.

TRAMA

Bob Saginowski, barista solitario che cela molto di se stesso, si muove tra le fila di un sistema di raccolta e riciclaggio di denaro per i gangster locali, il tutto nel sottobosco dei bar di Brooklyn. Succube del cugino Marv, ex proprietario ed ora dipendente del locale dove lavora, l’uomo si ritroverà al centro di una rapina andata male e di indagini che scavano in profondità nel passato del quartiere, dove amici, famigliari e nemici, hanno lavorato insieme per crearsi una vita accettabile senza preoccuparsi di danneggiare gli altri. Su tutto e tutti, un cucciolo di pitbull trovato malridotto nel bidone della spazzatura della casa di bella cameriera attorno al quale ruota molto del film.


di Redazione
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