Che – L’argentino/Guerriglia
Quando, nel 2001, uscì nelle sale, il primo capitolo della trilogia sulle stravaganti imprese del fascinoso ladro Danny Ocean, molti chiesero a Soderbergh, fresco di Oscar alla regia per Traffic, perché mai continuasse a imbattersi in pellicole commerciali. Il regista rispose che i proventi del cinema mainstream, gli consentivano di fare quello che più preferiva: il cinema d’autore indipendente. Queste parole sembrano calzare a pennello per il suo ultimo importante lavoro, il dittico sull’esperienza rivoluzionaria di Ernesto Guevara, medico argentino che servì la causa di Fidèl Castro, diventando una delle figure storiche più popolari e controverse del nostro tempo.
Il film, della durata complessiva di oltre quattro ore, ripercorre nella prima parte, intitolataChe. L’Argentino, i fatti che portarono il Movimento del 26 luglio al rovesciamento della dittatura di Batista e alla presa del potere a Cuba, con Che Guevara protagonista nella decisiva battaglia di Santa Clara e nella successiva marcia verso l’Havana. La seconda parte,Che. Guerriglia, si concentra, invece, sul periodo boliviano del Che, ultimo tentativo di esportare la rivoluzione ben oltre i confini cubani, che si concluse tragicamente con la cattura e l’uccisione del Comandante. Soderberg costruisce una biografia cinematografica dal taglio essenziale e concreto, imperniata unicamente sulla figura politica del Che, visto come un intellettuale stratega, convinto della necessità della lotta armata, unico efficace strumento di presa del potere per rovesciare il capitalismo e l’imperialismo. Un uomo animato dall’amore per l’uomo e dalla passione rivoluzionaria, portata avanti con assoluta dedizione e disciplina, inizio e fine di un umanesimo ribelle che non contempla orizzonti spirituali; un uomo, a tal punto infiammato dall’ideologia, da crederne possibile l’effettiva realizzazione anche al di fuori di un contesto come quello cubano, in cui l’esito favorevole della lotta armata era stato il frutto di una serie di condizioni propizie e fortuite.
Attraverso una narrazione rigorosa e antiretorica, il regista americano ci consegna un ritratto del guerrigliero degno di quel valore di simbolo universale di libertà, che il mondo gli ha tributato. E’, infatti, dall’esclusiva attenzione alla dimensione quotidiana della guerriglia, che emerge la statura eroica di Guevara: il suo perseguire l’utopia di una rivoluzione universale, la fermezza assoluta delle sue convinzioni, la scelta di pretendere il sacrificio della vita, prima che dai suoi uomini, da se stesso. Sebbene siano taciuti alcuni dei lati più inquietanti del personaggio (come il processo a Lalo Sardiññas o qualsiasi accenno alle azioni di giustizia sommaria esercitata ai danni dei militari dell’esercito di Batista), il film batte la strada della ricostruzione storica, demitizzando la figura del Che e restituendone la sola natura umana, certo nobile, ma non priva di contraddizioni e spesso limitata da miopi fanatismi.
Il film è un grande affresco monografico che celebra, senza romanzare, uno degli uomini più importanti del XX secolo, e che si misura, anche, con nuove soluzioni cinematografiche nel segno di uno sperimentalismo visivo e tecnologico, non nuovo all’autore di Sesso, Bugie e Videotape. Girata con una nuova e particolare camera digitale (la Red one), che permette le riprese a luce naturale, la pellicola risplende per l’autenticità delle immagini, che conferisce al film uno stile quasi documentaristico, evidente, soprattutto, nella seconda parte del dittico, grazie all’alta risoluzione del formato super 16 e all’utilizzo frequente della camera fissa, che inchioda lo spettatore all’osservazione e alla riflessione sulla faticosa quotidianità, sulla solitudine e sull’inevitabile sconfitta di quella lotta armata. Mentre invece, nella prima parte, la rottura della continuità narrativa attraverso frequenti flashback e anticipazioni, non solo dà dinamismo alla trama degli eventi, ma focalizza i nuclei ideologici fondamentali che sottesero la politica e l’azione di Guevara. Soderbergh, insomma, adatta alla sua idea dell’argentino (convergenza e unità d’intelletto e azione), la struttura stessa del film, ed è proprio in questa inestricabilità di cinema e pensiero che risiede, a nostro avviso, il pregio maggiore dell’opera e la grandezza, come autore, del regista americano. Un ultimo cenno va fatto, infine, alla trascinante interpretazione di Benicio del Toro (premiato nel 2008 a Cannes come miglior attore protagonista), che impersona l’uomo e il militante rivoluzionario scomparendovi dentro mimeticamente.
di Amanda Romano