Cassandro

La recensione di Cassandro, di Roger Ross Williams, a cura di Massimiliano Martiradonna.

Sì, la vita è tutto un ring! Il ring è quello del wrestling nella sua declinazione messicana, la lucha libre. Una lotta spettacolare, folkloristica, coloratissima, che richiama giovani e vecchi, donne e uomini, belli e brutti perché è metafora della vita, mimesi dell’eterna dualità: bene versus male. Mimesi, e catarsi. Il contesto è il limine, il bordo (del ring?) del Paese, il confine tra Messico e Stati Uniti. Tijuana, Ciudad Juarez, la No Man’s Land che è stata illuminata in color seppia e resa immortale da Steven Soderbergh (Traffic). Terra di nessuno in cui gli esseri umani sono fantasmi mascherati, grotteschi, mai feroci.

Succede qui e non altrove, qui origina la leggenda di Cassandro, lottatore omosessuale, dicitur strapopolare, arcinoto, e pure giocosamente incline alla cocaina. Nella storia di Cassandro la lotta è duale, è struggle for win ma anche struggle for life: il successo, la fama, procedono di pari passo con la rivelazione e l’affermazione del sé, della propria identità sessuale, della ricerca dell’amore perduto, fosse anche quello di un padre. Quella di Cassandro è una storia vera, ma poco importa. Importa invece che Cassandro sia interpretato da Gael Garcia Bernal all’apice della sua professione: come ha ben rilevato Marco Giusti, Bernal oggi 44enne riesce a dare corpo e cuore ad un personaggio 22enne. Non è da tutti, anzi, è da pochissimi.

Lo fa con il corpo, appunto, aggredendo il ring come fosse una pop star, caricando la mimica, la teatralità dei gesti, la tangibilità delle botte date e subite. Lo fa con il cuore, quindi con il non detto, con la luce dello sguardo, del sorriso, intessendo relazioni vitali con la madre, con l’amante, con l’agente, con gli altri lottatori. A proposito dell’universo che lo circonda, giocoforza Cassandrocentrico in quanto trattasi di biopic, occorre dire che è pulsante esso stesso, fatto di volti rugosi e polverosi, tutti a sprigionare quella America, la faccia triste dell’America. Quello che non pulsa, a tratti, è l’occhio, è la mano del regista Roger Ross Williams, onesto mestierante ma poco a suo agio con la struttura e l’afflato di un lungometraggio di questo spessore, quindi accorato ma discontinuo. Poco importa, resta un nuovo (anti)eroe al confine tra Beyond the Candelabra e The Wrestler, una delle visioni più “exotiche” del 2023.


di Massimiliano Martiradonna
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