Cacciatore di teste
“Eliminare la concorrenza” è una di quelle espressioni d’uso comune che, se prese alla lettera, aprono squarci agghiaccianti sul nostro modo di vivere. E’ questa la chiave scelta da Costa-Gavras per il suo Cacciatore di teste, storia di un top manager licenziato per riduzione di personale che, dopo due anni e mezzo di disoccupazione, si mette ad uccidere i suoi competitori più temibili per un posto di dirigente in un’azienda cartaria.
La trasformazione di Bruno Davert (interpretato dal bravo José Garcia) da killer verbale in assassino fattuale si sviluppa lungo le vie del grottesco e dello humor nero, senza però perdere mai la sua consistenza drammatica. La maestria di Costa-Cavras è proprio nell’equilibrio dei toni del racconto, poiché in fondo lo spunto di partenza (ripreso dalla novella Ax di Donald E. Westlake) rischiava di rimanere nel limbo della facile trovata. Così non è, ma anzi il film congegna efficacemente intorno al protagonista l’apologo inquietante su un modello di società che ha posto la competizione più feroce al vertice di ogni scala di valori – e non solo di quelli economici.
Il quarantenne Davert ha tutto ciò che può desiderare: una famiglia, una villa in un quartiere residenziale, una vita agiata. Senza lavoro, rischia di perdere tutto. E’ un uomo preciso, competente, che non accetta l’idea di una discesa nella scala sociale. Le sue paure e la sua fragilità spingono lo spettatore dalla sua parte, anche quando scivola nella follia omicida e si mette a sparare a persone che come lui cercano di risalire la china della disoccupazione. Assassino maldestro, aiutato dalla fortuna, mette a nudo con il suo furbo “candore” il volto di una umanità che ha introiettato quelle leggi di mercato di cui è vittima egli stesso. Ma se l’orizzonte della consapevolezza si eclissa nel personaggio, è proprio allo spettatore che fa appello il regista con il graffio leggero e sarcastico di una dimostrazione per assurdo.
Quelli che Bruno uccide vivono come lui, anche loro con un tenore di vita da difendere, almeno nelle apparenze; le prime vittime sono nomi sotto una fotografia; poi, i suoi agguati hanno qualche effetto collaterale, come apprendere che uno si arrangia come cameriere di un bar, un altro fa il commesso di un negozio di abbigliamento. Ma la pietà, qualche esitazione e i propositi di suicidio non bastano a fermare l’impacciato serial killer… In fondo, egli può darsi sacrosante giustificazioni, come salvare la famiglia, che comunque va a rotoli (la moglie lo tradisce, il figlio svaligia negozi di videogiochi). Alla fine, contando sulla ferocia, la fortuna e la furbizia tutto si aggiusta. Dopo di che, bisogna sempre vivere sul chi va là, perché c’è sempre qualcun altro pronto ad “eliminare la concorrenza”.
di Antonio Medici