Burn After Reading

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burn-after-reading-coenDopo il pluripremiato Non è un paese per vecchi, i fratelli Coen fanno nuovamente centro: con la loro ultima fatica, Burn after reading – A prova di spia, presentato fuori concorso all’ultima festival di Venezia, i due dimostrano ancora una volta di saperci fare, tornando in un territorio, quello comico, a loro assai congeniale. Il film fa ridere e tanto. Tuttavia definirlo come appartenente a una sfera “semplicemente” comica può risultare riduttivo: i Coen, infatti, anche questa volta manifestano la loro rara capacità di sapersi muovere in ambiti diversificati, partendo da una situazione che va a scatenarne mille altre, in una ben lubrificata commistione di generi. Il prodotto è uno spy movie insolito, un film d’azione spassoso ma che non risparmia affatto salaci sferzate satiriche sulla civiltà odierna, rivelandone, attraverso personaggi “campione”, le diverse falle, le frustrazioni, i complessi, le vacuità, le ottusità.
Washington D.C.: Osbourne Cox (John Malkovich), analista della Cia, viene di punto in bianco silurato dai suoi superiori a causa di eccessive alzate di gomito; l’uomo, peraltro, deve fare i conti con la moglie Katie (la “cattiva” Tilda Swinson), intenzionata a divorziare a insaputa del marito per congiungersi definitivamente con il suo amante Harry Pfarrer (George Clooney), ex guardia del corpo, che nel frattempo viene fatto pedinare dalla consorte, la quale, nell’intento di separarsi da lui, vorrebbe coglierlo in flagranza d’adulterio. Altri personaggi sono Chad (Brad Pitt) e Linda (Frances McDormand), personal trainers in una palestra ultramoderna, i quali, venuti fortunosamente in possesso di un cd contenente memorie e confessioni dell’ormai ex agente Cia, ordiscono uno strampalato piano ricattatorio nei suoi confronti, convinti di poter ricavare dall’operazione una montagna di quattrini.
I Coen montano una parata farsesco-demenziale, all’interno della quale i protagonisti finiscono “stupidamente” con l’incrociare i loro destini, generando, in modo altrettanto stupido, guai a catena, nonché tragici epiloghi, sempre annessi, però, a situazioni paradossali, quasi irreali, e frutto di clamorosi equivoci.

Il film scorre ad un ritmo intenso, con pochissime concessioni a interludi o divagazioni; stilisticamente opposto ai tempi lunghi e dilatati del “western” Non è un paese per vecchi, dove è soprattutto la dimensione dell’attesa, della temporalità più morbidamente blanda a dominare, Burn after reading è un lungometraggio frenetico, immediato, rapido. Una frenesia che investe gli stessi comportamenti dei personaggi, traducendosi in una sostanziale follia inebetita. Tuttavia, se pur lontani dalle atmosfere rarefatte e profonde della loro penultima opera, Joel e Ethan sembrano riaffermare, sotto altre forme, un pregnante pessimismo di fondo: qui il bersaglio è una società tutta presa dal suo narcisismo, ansimante di corpi scolpiti e curve da urlo, ma che per trovare l’anima gemella si affida a tristissime chat telematiche e nel frattempo si consola con gli ultimi ritrovati dell’autoerotismo “scientificamente” avanzato e confortevole (si veda la sexy poltrona fabbricata da Clooney nella cantina della sua abitazione).
Dialoghi esilaranti ed efficaci (gustosissima la telefonata minatoria di Pitt e della McDormand che sveglia Malkovich nel cuore della notte), molto buona la direzione degli attori, nonché la costruzione a tutto tondo dei personaggi, sia di quelli principali come l’alcolizzato e nevrastenico Malkovich, il bel palestrato e tontolone Pitt, l’insopportabile Swinson, l’insoddisfatta e frustrata McDormand, il dongiovanni, e pur maldestro Clooney, sia di quelli secondari. Si pensi al capo della palestra (Richard Jenkins), probabilmente unico personaggio positivo del film, unico soggetto che, in fin dei conti, sembra essere avulso dalle follie e dalle vanità dilaganti, uno dei pochi portatori di emozioni sincere, tanto da non essere neanche “visto” dall’amata Linda, a causa della quale finirà, anche lui, l’unica volta che come gli altri si comporta stupidamente, con l’essere tragicamente trascinato nell’onda degli eventi. Nel carrozzone delle assurdità, in questa commedia degli equivoci e dei ruoli invertiti, della caccia a non si sa chi c’è spazio anche per pseudoretaggi di guerra fredda, per le paranoie tipiche del nuovo millennio (a tal proposito sono esemplari la scena della telefonata tra la McDormand, timorosa di possibili “controlli”, e il diplomatico russo, nonché quella della fuga di Clooney al parco).
E in tempi come questi, il terzo millennio appunto, dove spuntano da ogni angolo bandiere inneggianti alla sicurezza, fa specie pensare che gli organi preposti alla sua garanzia, in questo caso la Cia (il film inizia e termina negli uffici dei servizi segreti), finiscano col non azzeccarne una giusta, archiviando un caso “scomodo”, con la consapevolezza di non averci capito un bel niente. L’idiozia, spesso accompagnata al cinismo più sgangherato, è un virus facilmente contagioso.


di Leonardo Gregorio
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