Brüno
Sull’onda dello spirito dissacrante e derisorio di Borat, Brüno è il nuovo personaggio ideato e interpretato dall’inglese Sacha Baron Cohen, che anche questa volta si avvale della regia di Larry Charles Il “politically scorrect” che imperava nella storia del giornalista kazako in viaggio in America si conserva qui pressoché immutato: come il precedente film anche questo è caratterizzato da una comicità aggressiva e corrosiva, grottesca e al limite del demenziale, che imbarazza e sconcerta perché mostra in modo spregiudicato “l’inguardabile” e dice esplicitamente “l’indicibile”. E in questo, bisogna sottolinearlo, l’attore (autore anche del soggetto e della sceneggiatura) è maestro. Borat ci descriveva un mondo ferocemente antisemita e maschilista, mettendo davanti a uno specchio, in realtà meno deformante di quanto può sembrare, un Occidente fondamentalmente razzista, che a tutt’oggi non sa e non vuole riconoscersi come tale. Brüno prosegue sulla stessa strada, con uguale veemenza e in modo altrettanto scopertamente provocatorio.
Il protagonista del film, dichiaratamente, anzi, ostentatamente omosessuale, conduce un programma televisivo sull’alta moda, ma aspira a un successo di ben altre dimensioni: vuole diventare “l’austriaco più famoso del mondo dopo Hitler” e “la più grande star gay dopo Schwarzenegger”, e con questi obiettivi, dalla nativa Austria, raggiunge il luogo dello spettacolo per eccellenza, Hollywood. Nei suoi disperati tentativi di guadagnare attenzione e amore, Brüno vive tutta una serie di assurde situazioni che si fanno denuncia aperta, esilarante ma insieme amarissima e persino tragica, dei vizi, del cinismo e delle aberrazioni più vergognose del nostro tempo. Superficialità e razzismo regnano incontrastati attorno al protagonista, ma sono anche profondamente radicati dentro di lui. Baron Cohen accorda al suo personaggio una sorta di candore al limite dell’ottusità, che gli permette di fare e dire apertamente tutto ciò che nella realtà viene ogni momento mascherato da conformismi e perbenismi: la dinamica è la stessa cui si assisteva in Borat. Il mondo che ci restituisce il film è quello delle celebrità che fanno beneficenza col mero scopo di accrescere la propria fama e i propri guadagni, è l’America dell’“etero pride” che sfoggia la sua omofobia come se fosse motivo di vanto, in cui esistono dei veri e propri “convertitori di omosessuali” che predicano la parola di Cristo nell’intento di far tornare i gay sulla retta via. Neppure temi spinosi come quello del conflitto in Medio Oriente e dei rapimenti per mano di Al Qaeda vengono risparmiati, poiché il protagonista, pur di avere successo non esita a mettersi in situazioni di cui non comprende affatto la pericolosità.
La rudezza e l’apparente trivialità della comicità di Brüno, che volutamente supera i limiti del buon gusto, appaiono frutto di una scelta precisa che il film porta coraggiosamente fino in fondo per porre in atto una critica dura e inequivocabile ad una società vacua, materialista, bigotta e volgare. Non c’è motivo di stupirsi allora se alcuni operai messicani vengono messi a quattro zampe e usati a mo’ di sedie nei salotti dei ricchi americani, e se il protagonista ha adottato un bambino africano scambiandolo con un i-pod o con un computer: questo fa semplicemente parte del nostro mondo civilizzato. Brüno, seppure in maniera estrema e a tratti quasi brutale, si limita a dirci a chiare lettere ciò che sappiamo già benissimo, ma a cui tutto sommato non abbiamo molta voglia di pensare – e questo di sicuro non è un merito da poco.
di Arianna Pagliara