Brividi d’autore
La recensione di Brividi d'autore, di Pierfrancesco Campanella, a cura di Emanuele Di Nicola.

Il cinema dell’orrore da sempre riscrive se stesso. Lo sa bene Pierfrancesco Campanella, regista romano nato nel 1960, che nel nostro tempo omologato è uno davvero fuori dal circuito: lo dimostra la sua filmografia composta da cinque film di finzione, un documentario e una rosa di corti. A partire dal “film scandalo” del 1993, definizione solo nella mente dei titolisti, ovvero il thriller erotico gay Bugie Rosse, una sorta di Cruising all’italiana. In Cattive inclinazioni (2003) poi c’era un serial killer che uccideva a colpi di squadra, un particolare grafico e oggetto-feticcio che torna anche nell’ultimo film. Ora Campanella infatti riversa in sala Brividi d’autore, che è un piccolo zibaldone del thriller-horror: la cornice è una regista, Louiselle Caterini interpretata da Maria Grazia Cucinotta, donna e arista in crisi perché nessun produttore finanzia il suo progetto e perché è stata vittima dell’aggressione di un maniaco mascherato da Frankenstein, il quale l’ha sequestrata per giorni. Una alter ego dell’autore stemperata dallo scetticismo dell’ironia.
È dalla mente di Louiselle che germogliano le storie di paura, gli episodi che cercano di costruire la tensione e sfondare il muro del rifiuto da parte della comunità cinematografica. Allo stesso tempo, ovviamente, rievoca la tradizione del film a episodi. Ecco allora una serie di personaggi di contorno che si confronta e scontra, dalla migliore amica alla psichiatra che segue la donna. E le figure orrorifiche che si insinuano tra loro, con originalità e potere delle idee, come nel primo episodio L’amante perfetta, interamente narrato dalla voce fuori campo di un ragno velenoso. E ancora affetti che si rivelano letali, di nuovo la squadra come arma del delitto, sacrifici umani, amanti appassionati del sesso estremo. Le novelle spaziano dall’horror puro al thriller argentiano, fino al mystery ironico con protagonista un’autrice di gialli, in cui tutti muoiono all’improvviso, che sembra un frammento de La congiura degli innocenti. Infine giunge un clamoroso colpo di scena che svela il senso del racconto, in omaggio a un’altra pratica costitutiva del genere: il ribaltamento.
Il regista impasta un mondo e un immaginario (Argento, Bava, Fulci…), lo frulla insieme e fa rivivere, consapevole che quell’epoca sia ormai passata e storicizzata, come attesta il registro spesso al confine della comicità. Nel tessuto inserisce anche le sue fissazioni, prima tra tutti Marco Ferreri, le cui pillole di film scorrono sullo schermo, come Storie di ordinaria follia con Ben Gazzarra e un’abbacinante Ornella Muti. È un gesto di retroguardia quello di Campanella, che non teme la lesa maestà e si presenta fieramente feticista, e malgrado i limiti del basso budget compone un piccolo atto di genere oggi. Fuori dalle solite logiche.

di Emanuele Di Nicola