Blue Jasmine

Woody Allen, per ora, abbandona l’Europa per tornare a raccontare una vicenda ambientata tra New York e San Francisco. Dimentica i toni da commedia per raccontare una storia intensa in cui Cate Blanchet è perfetta in un ruolo estremamente difficile; la sceneggiatura, infatti, non le fornisce mai un appiglio per riuscire ad ottenere la simpatia del pubblico. È una donna che il destino ha deciso fosse fortunata: ha piantato senza problemi all’ultimo anno i suoi studi di antropologia per sposare un ricco uomo d’affari e sistemarsi, pensa lei, fino alla fine dei suoi giorni. È vacua, divide le sue giornate tra shopping e beneficenza a suon di centinaia di migliaia di dollari senza altro interesse se non apparire: per esistere deve essere al centro dell’attenzione. Ha in casa il figlio del marito e questo le permette di non impegnarsi nello sforzo di divenire lei madre di un nuovo bambino, è sempre distaccata dal mondo e risolve ogni cosa col denaro, con la sicurezza che il suo status le dona.Non teme di essere giudicata, sa che un marito potente la preserva da ogni critica perché è meglio averla per amica che nemica.Viaggia solo in prima classe, ha l’autista del marito praticamente a sua disposizione, vive nelle varie magioni che possiedono in varie zone, sempre bellissime, degli Stati Uniti.

Il figlio, ereditato, studia economia in una prestigiosa Università ed è orgoglioso che il padre sia stato chiamato lì per tenere una  conferenza: anche lui, apparentemente, accetta la ricchezza come un’investitura caduta dal cielo e non si domanda da dove realmente provenga e se esiste il rischio che prima o poi finisca.L’uomo non è un geniale uomo d’affari, bensì un truffatore che rubando a risparmiatori troppo ingenui, si è fatto una posizione apparentemente da intoccabile. Ma viene denunciato in maniera anonima alle autorità, arrestato mettendogli le manette ai polsi davanti a tutti, proprio di fronte all’ingresso del lussuoso palazzo dove vive da molto tempo. Di colpo, così, gli crolla il mondo addosso e non riesce a reagire tanto da suicidarsi in carcere, anche se la certezza che questo atto inconsulto non sia stato pilotato o, addirittura, che qualcuno abbia inscenato tutto procurandogli poi direttamente la morte, può venire in mente.

Questi sono gli antefatti del nuovo film del regista newyorkese che alla soglia degli ottanta anni mette da parte dopo pochi minuti l’atmosfera da perfetta commedia di cui è un maestro per puntare a un tipo di racconto dove il dramma ha l’assoluta priorità; i personaggi di contorno, comunque, stemperano col loro comportamento e col linguaggio i momenti di maggiore tensione emotiva.
Abbandonata da tutti, ‘derubata’ dei suoi beni dal governo, è costretta a cercare rifugio dalla sorellastra che vive modestamente a San Francisco ma lo fa sempre da padrona, da persona i cui desideri devono essere soddisfatti e a cui nulla bisogna chiedere in cambio.

Lei e Ginger, ambedue orfane o abbandonate dai genitori naturali, erano figlie di persone differenti ma i genitori adottivi, per una questione di…cromosomi, avevano fatto la scelta di puntare sulla bionda ed elegante ragazza considerando l’altra come una persona da accettare, da sopportare.

Eppure è Ginger che le sta vicino in questo momento in cui Jasmine non riesce a costruirsi un’identità personale che forse non ha mai avuto. Tra un vodka-lemon e un cocktail di medicine che l’aiutano a non pensare, vive come uno zombi in attesa che il destino, benevolo, si accorga di lei e l’aiuti ad uscire da questa situazione che lei semplicemente non accetta. Parla da sola, non si abbassa a cercare aiuto, si reputa sempre superiore agli altri, è priva di umanità e ha un rapporto col mondo cinico, senza desiderio di dialogo con persone che reputa inferiori.

Su questo terreno, la sceneggiatura inizia a costruire i vari personaggi di contorno, tutti assolutamente amati da Allen, il quale fornisce loro un’identità precisa, una visibilità completa anche se impegnati in poche battute. Sono questi che disegnano ancora meglio il disagio della donna per essere a contatto con persone vere che la giudicano per quello che è, non per come era stata costruita dal marito.

Racconta con disgusto di quando, per pochissimi giorni, è stata costretta a lavorare come commessa in elegante negozio di calzature servendo le riccone che prima affollavano le sue sontuose feste. È questa la sua unica esperienza lavorativa, peraltro rifiutata e pensata come ad una punizione non meritata. Quando Ginger la convince a seguire un corso per PC per poi studiare online arredamento d’interni – è l’unico lavoro non lavoro che lei vede possibile per la sorella – è costretta ad accettare di fare da segretaria a un dentista, entrando in contatto con persone vere che lei reputa volgari e col suo datore di lavoro che cerca di ottenere da lei intimità ma osteggiato non per pudore ma perché non ricco a sufficienza per poterle consentire lo stile di vita a cui era abituata. Si scontra con la grossolanità del fidanzato della sorella a cui lei ha precluso il definitivo trasferimento nell’appartamento, piccolo ma decoroso, in cui è ospitata più per pietà o per dovere di coscienza che non per amore. È un uomo che si sente tradito, che non accetta che qualcuno si metta tra lui e la sua nuova famiglia di cui ha imparato anche ad accettare e ad amare i due figli del matrimonio precedente della donna.

L’unica speranza della ex ricca è di trovare un uomo che la sposi, che le permetta di tornare a vivere nella falsità precedente senza problemi. Lo identifica in affascinante rampollo di famiglia agiata ora impegnato nella carriera diplomatica ma con mire politiche. Il suo piano andrebbe bene se lei, non temendo di essere giudicata e rifiutata, non tentasse il tutto per tutto proponendo un personaggio e non se stessa, puntando molto sul rapporto che l’uomo vuole anche perché, vedovo da un anno, vede in lei una sfortunata cui il destino ha privato del compagno di vita.

A chi le domanda se non si fosse mai accorta delle irregolarità compiute dal marito, lei risponde che non è un’esperta di finanza e che poi in molte società lei aveva firmato come responsabile. In realtà, sa tutto ma finge per evitare di svegliarsi da un bel sogno per iniziare a vivere in una brutta realtà.

L’australiana Cate Blanchet regge in maniera perfetta un personaggio privo di peculiarità positive, si fa trascinare da lui in una china che porta al baratro senza avere gli strumenti per cambiare realmente il proprio destino: cerca di rendere più accettabile questa vita bevendo cocktail e usando a dosi massicce lo Xanax.
L’inglese Sally Hawkins è perfetto contraltare all’apatia della sorella: ha due figli ancora piccoli, lavora in triste supermercato ad impronta familiare, considera come principe azzurro un fidanzato operaio che nel rapporto a due punta al sodo. Eppure, lei è felice perché vive all’interno di un mondo che ha accettato e che non la rifiuta, non si offende quando Jasmine le dice che anche nella scelta degli uomini è una fallita, non usa mai le sue stesse armi di violenza psicologica. L’italoamericano Bobby Cannavale offre una figura di buzzurro disegnata con attenzione e che la sceneggiatura mette in condizione di essere personaggio portante della storia tanto da influenzare definitivamente la vita della futura cognata. Un personaggio molto differente da quello interpretato da lui ne Il collezionista di ossa (The Bone Collector, 1999) e The Station Agent (2003) e che dimostra che ha delle potenzialità non ancora utilizzate dai suoi precedenti registi.

Alec Baldwin è il marito truffatore e fedifrago, che impersona il classico personaggio del cattivo simpatico e “piacione”. È nelle sue corde, e lo interpreta con assoluta credibilità.
Ma il meglio lo si ha nei comprimari, in quegli attori più o meno noti che hanno saputo rendere funzionale l’idea autoriale di Woody Allen.
Senza Peter Sarsgaard, Alden Ehrenreich, Michael Stuhlbarg, Louis C.K., Sally Hawkins, Max Casella, Charlie Tahan e tanti altri, il film non sarebbe stato lo stesso. Non siamo di fronte ad un capolavoro, ma ad un film più che decoroso in grado di fare pensare su fatti quali il raggiro dei risparmiatori che sono fin troppo comuni nella cronaca diuturna.

Il taglio netto che Allen fa contrapponendo i poveri con i ricchi senza volersi occupare del ceto medio può essere un limite ma anche un pregio: in un film di meno di cento minuti la quantità enorme di input già rischia di creare un impegno notevole da parte dello spettatore che è aiutato proprio per questa conflittualità storica di ceti così dissimili tra loro a non cercare chiavi di lettura intermedie. Vienna viene citata varie volte nel rapporto tra Jasmine e il diplomatico che vi risiede: che sia quella la location del prossimo film di Woody Allen?

TRAMA

Una giovane e bella donna vacua e superficiale, Jasmine, è sposata a un uomo ricco e di successo. La sua vita scorre serena e spensierata fino a quando il consorte viene arrestato. Quest’ultimo, poi, si suiciderà in prigione.  Jasmine si ritroverà senza nulla e andrà a vivere con la sorellastra. La sua esistenza cambierà in maniera totale.


di Redazione
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