Biutiful

Un padre tenerissimo che parla con i morti, sospeso tra una profonda umanità – che trasuda e rivendica una qualsiasi terrena giustizia – e una trascendenza quasi divina. Un Cristo contemporaneo ammantato da un‘aura di sacralità che commette i ‘consueti e ormai normali’ peccati dei nostri giorni: sfrutta gli stranieri e vive di espedienti, coordina squadre di ambulanti clandestini e corrompe poliziotti disonesti, fornisce lavoro a laboratori illegali di manodopera cinese, parla con i morti e trasferisce i loro messaggi ai familiari, proprio come il personaggio di Matt Damon in Hereafter di Clint Eastwood, ma piu guerriero e indurito dalla vita. Sconvenientemente umano e attuale. Questo il profilo psicologico e profondamente concreto del protagonista di Biutiful, il quarto film di Alejandro González Iñárritu, accolto allo scorso festival di Cannes da giudizi contrastanti, grandi critiche e grande emozione.

Costantemente pedinato nel suo percorso fra la vita e la morte e nella sua crepuscolare intimità, dalla prima all’ultima scena della pellicola (camera a mano e fotografia dai toni densi),  Javier Bardem, migliore attore a Cannes 2010 e candidato agli Oscar 2011, riesce a dare a Uxbal, il personaggio centrale attorno a cui è costruita la storia, tutta la drammaticità che la narrazione richiede in un’interpretazione magistrale per intensità e sentimento. Ambientato nel quartieri di Santa Coloma, uno dei più degradati della scintillante città di Barcellona, Biutiful inscrive  la storia di Uxbal  nella luce livida e negli  interstizi più bui di una città crudele e oscura. Ottima la regia da Inarritu che ha costruito un film dalla struttura stabile e con una coerenza formale (anche se con una sceneggiatura ridondante),. Un film dal montaggio incalzante, scomodo, irritante e claustrofobico (la storia è vissuta dal protagonista interamente dal di dentro, senza possibilità di distanza critica), che inizia e finisce all’alba del giorno in cui Uxbal, abbandona la vita terrena, malato terminale di cancro. La sua è comunque una figura che mantiene dignità fino alla fine, che cerca di organizzare il futuro dei due figli piccoli, vittime di un matrimonio andato a male e dell’affetto incostante di una madre malata di bipolarismo. Abbandonata la costruzione a incastri, quella che contribuì a rendere straordinari i suoi 21 grammi e Babel, il regista messicano pur riproponendo stile, temperatura e sguardo consueti, in questo caso si è cimentato –  con non poche ed evidenti difficoltà – con una scrittura più lineare, frutto del divorzio dallo sceneggiatore ed ex amico Guillermo Arringa. La storia di Biutiful è infatti cosa insolita per l’autore di Babel, concentrata su un unico luogo e un unico personaggio. Biutiful è un titolo che irride all’utopica bellezza di un paesaggio di infelicità totale.

Una scrittura drammaturgia che somma tante disgrazie può indurre a sospettare una sorta di compiacimento autorale, ma alla fine il film con la splendida prova di attore di Bardem, la visionarietà registica di Inarritu, non può che essere vissuto come viscerale, potente. Drammaticamente autentico.


di Patrizia Rappazzo
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