Arrival
La fantascienza è un genere in cui è oggettivamente difficile dire qualcosa di nuovo. Specialmente se all’interno dei non moltissimi temi che ormai da anni ne costituiscono le varianti possibili si sceglie di trattare quello fritto e rifritto in mille salse dell’arrivo sulla Terra di un gruppo di alieni e delle diverse reazioni che l’umanità mostra di avere nel tentativo di interpretarne le intenzioni.
Ma Denis Villeneuve, cinquantenne autore canadese con alle spalle “solo” sette lungometraggi (due dei quali – Prisoners e Sicario – divenuti rapidamente titoli di culto tra gli appassionati del cinema di razza), con questa sua ottava regia sembra riuscito nella missione impossibile di affrontare soggetti lisi dalle innumerevoli riproposizioni sfornate negli anni rinvigorendone il tessuto narrativo con brillanti scarti di prospettive e con l’innesto di componenti apparentemente altre che provengono da generi cinematografici che con la fantascienza hanno rapporti solo incidentali.
Arrival (che già nel titolo denuncia intenzioni non bellicose da parte di chi approda sulla Terra con scopi diversi da quelli di una temuta invasione) parte da un presupposto più che classico nel genere: 12 astronavi ovoidali atterrano in altrettanti punti del nostro pianeta rimanendo sospese a pochi metri dal suolo e costringendo le autorità di ciascuno dei paesi in cui è avvenuto il contatto a cercare di capire innanzitutto cosa celino al proprio interno i misteriosi dischi e poi che tipo di creature ospitino e quali siano le intenzioni dei visitatori.
Come da copione e come ogni appassionato di fantascienza si aspetterebbe, i governanti dei 12 paesi che hanno ricevuto l’ospitata, convinti come sono che i dischi altro non possano essere che sofisticati cavalli di Troia pronti a seminare morte e distruzione sulla Terra, affrontano l’emergenza facendo riferimento a normali protocolli di difesa e affidando all’ottusità dei generali il compito di fronteggiarla col ricorso alle maniere forti.
Ma proprio qui Villeneuve (grazie anche al solido impianto narrativo fornitogli dal racconto Storia della tua vita pubblicato nel 1998 da Ted Chiang e soggetto del film) dimostra ancora una volta di avere grande confidenza con la rivisitazione dei generi che gli è sempre stata cara: invece di affidarsi al tradizionale armamentario da baraccone computerizzato tipico di certa fantascienza attenta solo alle sirene dei botteghini, il suo film sposta l’attenzione dalla quest sulle intenzioni degli inquilini delle 12 astronavi a come comunicare con loro.
E non è un caso che la protagonista del film (una straordinaria Amy Adams avviata molto probabilmente al suo primo Oscar dopo cinque nomination andate a vuoto) sia una linguista di fama mondiale chiamata dal Pentagono a far parte di una speciale task force di esperti di diversi àmbiti dello scibile umano che il governo USA decide di mettere insieme optando – almeno in un primo momento – per la via dell’approccio morbido prima del ricorso alla ferramenta pesante.
E sarà proprio questa linguista (personaggio magnificamente complesso che porta dentro di sé il dolore per la recente perdita di una figlia adolescente e la delusione di una relazione coniugale abortita sul nascere) a costringere governo ed esercito a cercare di comunicare con gli alieni mettendo a repentaglio la propria stessa vita pur di imporre a tutti la convinzione che la comprensione reciproca debba necessariamente passare attraverso l’incontro in quella terra di nessuno che è l’interazione linguistica.
La prima parte del film è proprio per questo la più coinvolgente nel suo magnetico alternare immagini di grandiosi spazi aperti a momenti di forte sospensione emotiva (sottolineati dalle armonie di raggelante sideralità dell’islandese Johànsson, musicista preferito di Villeneuve): allo spettatore che si aspetta di vedere uscire dai dischi fluttuanti i soliti mostri animati da intenzioni bellicose giunti sulla terra con le abituali ambizioni di conquista e susseguente sterminio della razza umana Arrival contrappone un percorso di avvicinamento reciproco. Ovvero l’esito di quella che non è un’invasione ma (lo si scoprirà in corso d’opera) un’offerta di aiuto unita a una cupa profezia sulla sopravvivenza della vita sul pianeta.
Gli alieni sono alieni anche qui, intendiamoci: dopo una lunga attesa che carica il testo di sospensioni messianiche, la linguista e gli altri membri della task force entrata all’interno dell’astronave atterrata nelle pianure del Montana, li si scopre essere due giganteschi polipi a sette zampe (e per questo subito chiamati eptapodi). Sulle prime inquietanti e mostruosi come il genere comanda quando si tratta di antropomorfizzare l’aspetto di chi arriva da mondi sconosciuti.
Ma non appena la linguista riesce a decifrare le meravigliose forme che le due creature disegnano proiettando schizzi di inchiostro nero su una lastra divisoria (e questo è forse il punto più debole dell’intera operazione, mentre nel racconto Chiang il processo di decifrazione dei simboli appariva come più credibile), si capisce immediatamente quali sia il vero scopo della missione delle 12 astronavi. Il tutto in un percorso di decifrazione di simboli portato testardamente avanti dalla protagonista e tanto complesso da far pensare a una sorta di fantalinguistica del futuro prossimo venturo.
Ribellandosi ai diktat dei militari e mentre in molti altri paesi il delirio dei governanti porta ben presto a una dissennata dichiarazione di guerra contro i visitatori, la linguista e gli altri membri del team di cui è parte riescono a imporre la propria linea, convinti come sono che i due alieni (chiamati Tom & Jerry nella versione originale e Abbott & Costello – i nostri Gianni e Pinotto – in quella originale) siano portatori di un messaggio di pace costruttiva che solo lo scambio linguistico permetterà di decifrare.
Presentato a Cannes a maggio, Arrival si inserisce a pieno diritto in quel filone della science-fiction che a partire da gli spielberghiani Incontri ravvicinati del terzo tipo ed E.T. ha iniziato a essere etichettata come «fantascienza umanistica» (siamo dalle parti di Intersteller, Gattaca, Contact, Hereafter) proprio perché prescinde dal manicheismo tipico del genere nell’etichettare buoni e cattivi (vedansi titoli quali La guerra dei mondi, il rifacimento di Ultimatum alla Terra o i giocattoloni di Roland Emmerich) sposta invece l’attenzione sui percorsi di comunicazione possibile tra diverse forme di Vita.
Il che non vuol dire che Villeneuve – capace di innervare il tessuto della sua fiaba fantascientifica con le componenti tipiche del dramma psicologico ma anche con quelle dell’horror di atmosfera e del thriller cerebrale – eviti di guardare a pietre miliari del genere come l’antesignano Ultimatum alla Terra del remoto 1951 (dove ugualmente la capacità di comunicare diventava il cuore pulsante del film) o addirittura il caposaldo kubrickiano di 2001: Odissea nello spazio (qui citato in maniera esplicita nella forma delle astronavi la cui struttura arrotondata si contrappone agli spigoli del monolite originale).
Opera che sfrutta il soggetto della potenziale minaccia aliena alla Terra per parlare in maniera indiretta di temi quanto mai vicini al nostro quotidiano più triviale quali l’accoglienza e l’apertura verso il diverso e l’altro fatte tramite la mutua comprensione tra opposti, Arrival dimostra la vitalità di un genere che negli ultimi anni ha saputo alternare titoli trascurabili a esperimenti di geniale innovazione che ne hanno rivitalizzato cliché e stanchi stereotipi tematici (si pensi solo a Inception o al già menzionato Interstellar).
Ed è per questo che i milioni di fan di Blade Runner – altro titolo di culto assoluto all’interno degli àmbiti del genere – possono dormire sonni tranquilli: il fatto che il già molte volte annunciato sequel o prequel del capolavoro di Ridley Scott (ancora non si sa ben quel che sarà salvo il fatto che arriverà nelle sale il prossimo ottobre) sia nelle mani di Dennis Villeneuve non può che far ben sperare quanti avevano subito gridato allo scandalo alla notizia che si potesse mettere mano all’intoccabile.
Trama
Quando 12 oggetti misteriosi di forma ovoidale atterrano contemporaneamente in diversi punti della Terra, i governi dei vari paesi in cui avvengono gli inquietanti fenomeni reagiscono in modo diverso. Negli USA il Pentagono decide di mettere insieme una specialissima task force che unisca le eccellenze di vari àmbiti dello scibile umano onde tentare di affrontare nel migliore dei modi quella che sulle prime viene subito interpretata come una minaccia alla sopravvivenza del genere umano. Tra i vari cervelloni chiamati a raccolta c’è anche una linguista di fama mondiale. E sarà proprio lei, grazie non solo alle sue competenze in materia di comunicazione verbale e non ma anche al coraggio dimostrato e all’ostinazione nel voler credere che si tratti solo di una missione conoscitiva, a interpretare correttamente le intenzioni dei «visitatori» evitando anche che le potenze mondiali precipitino nella follia di un guerra planetaria.
di Guido Reverdito