Antichrist
Lanciamo una provocazione critica: Lars von Trier è uno dei registi più sopravvalutati degli ultimi trenta anni. La questione non è se l’autore danese sia o no un regista capace. Su questo elemento non vi sono dubbi. Quanto piuttosto se von Trier possieda la capacità della coerenza e la forza della continuità. Ancora un’altra questione: forse l’autore di Dogville tende in alcune occasioni a strafare? A esasperare il proprio linguaggio senza alcuna giustificazione espressiva reale.
Caso eclatante, a nostro avviso, è Antichrist, film recentemente presentato in concorso al festival di Cannes. Si tratta di una delle opere più cariche e pesanti esteticamente e linguisticamente mai girate da Lars von Trier.
Luoghi comuni, stereotipi, bulimia simbolistica, banalità, ovvietà di tutti i generi sono fattori condensati in un’opera che opportunamente alleggerita e ripulita da tali orpelli un po’ tronfi avrebbe probabilmente potuto dire qualcosa. Il modo in cui viene tratta la psicoterapia ci sembra del tutto superficiale, priva di una vera sostanza contenutistica e solo strumentale al percorso iperbolico che intendeva seguire l’autore. La vicenda della coppia in crisi a causa della tragica morte del piccolo figlio è di un’insipidezza clamorosa (tra l’altro tema già ampiamente affrontato nella storia del cinema). La prevedibile configurazione di un binomio formato dalla razionalità maschile e dal mistero irrazionale femminile sa di manuale di psicanalisi. Non è riscontrabile alcun approfondimento, nessuna riflessione, ma solo una deriva splatter del tutto gratuita ed effettistica. Polpacci trafitti con trapani a mano, eiaculazioni di sangue, clitoridi recisi, masturbazioni nevrotiche e per niente sensuali, penetrazioni a vista, sono tutti elementi posticci che non si integrano con il tono del film che vorrebbe essere invece mentale.
Dal punto di vista registico, Lars von Trier simula in maldestramente il porno, non tanto per quel che riguarda ciò che si vede, quanto piuttosto grazie all’uso continuo del dettaglio, delle inquadrature strette, che dovrebbero eliminare ogni censura e che invece rappresentano una sorta di segno dominante moralistico.
Antichrist, nonostante l’ammiccante inquadratura finale, è un film misogino e moralista, appunto, poiché riserva le immagini hard alla rappresentazione di atti sessuali violenti e sanguinolenti, a feroci mutilazioni, mentre la penetrazione che è visibile nel prologo viene realizzata con una stilizzazione espressiva che rende accettabile, alla vista borghese, ciò che il cinema tradizionale di solito censura e che il porno amplifica parossisticamente.
Il film di Lars von Trier vorrebbe essere psicanalitico ma non vi riesce, vorrebbe essere libertario e liberatorio ma è solo moralistico, vorrebbe toccare la pancia dello spettatore ma riesce solo a sfiorare il suo sguardo. Dal punto di vista registico poi esaurisce la sua elaborazione in facili operazioni tecnicistiche, come la distorsione dell’immagini causata dall’suo di ottiche deformanti, rallenti, e l’uso casuale della macchina a spalla. A nulla serve la pur prestazione rilevante dei due protagonisti: Willem Dafoe e Charlotte Gainsbourg Dopo aver visto Antichrist, rimpiangiamo il Lars von Trier meno ambizioso e più crudele; quello di The Kingdom, Le cinque variazioni e Il grande capo.
di Maurizio G. De Bonis