Another End

La recensione di Another End, di Piero Messina, a cura di Paola Dei.

Il regista di Caltagirone Piero Messina, dopo un fortunato esordio con un’opera ispirata dal racconto di Pirandello La vita che ti diedi, presentata nel 2015 alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, con il titolo L’Attesa, torna alla regia indagando il processo di rielaborazione legato alla perdita di una persona cara.

Presentato alla 74 edizione del Festival di Berlino e uscito nelle sale cinematografiche italiane il 21 marzo, Another End, interpretato da Gael Garcia Bernal, Renate Reinsve, Berenice Bejo e Olivia Williams, parte da un aspetto fantascientifico per arrivare poi a narrare una storia d’amore. Messina che, nel titolo del film gioca con la grafica e nella versione italiana mostra le parole The End che si trasformano in Another End, a significare una fine che è un inizio (nella versione internazionale è invece Not Here ovvero non qui), entra nella scissione fra corpo e mente, da un punto di vista linguistico ed estetico, per esplorare cosa amiamo quando c’innamoriamo dell’altro.

Emerge così uno dei paradossi più interessanti: scoprire un mondo che non è connotabile ma allo stesso tempo vive nella quotidianità. Fatto che si rivela molto coerente con il sentimento dell’opera che privilegia le dinamiche degli incontri piuttosto che l’azione. Il microcosmo di Sal, il protagonista che ha perso in un incidente l’amata moglie Zoe, diventa simbolo di un dolore universale fra le maglie di una drammaturgia che non ci sconvolge mai con le azioni, ma con le emozioni, le pose, le parole, le liti, le atmosfere a metà strada fra reale e surreale. La nuca, le spalle, la schiena, i volti degli attori incarnano i sentimenti e lentamente da un inizio fantascientifico ci troviamo all’interno di una struggente storia d’amore. 

Sal che guidava la macchina quando è accaduto l’incidente che ha portato via Zoe, attraversa tutti i momenti dell’elaborazione del lutto: tristezza, rabbia, senso di colpa, senso di vuoto. Sua sorella Ebe lo convince allora ad aderire a un programma elaborato da Aeterna: Another End, la ditta presso la quale lei lavora, che attraverso un percorso di Simulazione, promette di sostenere le persone nel delicato momento della perdita, riportando in vita nel corpo di un Locatore, la coscienza di chi se n’è andato per concedere a chi è rimasto di poter dare un ultimo saluto e chiarire situazioni che sono rimaste sospese. In questo modo Sal ritrova Zoe, nel corpo di un’altra donna e, su suggerimento del Dr. Doyle, interpretato da Paul Aron, litiga con lei e ritrova intatto il sentimento che li univa. 

“Solo attraverso una lite riuscirai ad entrare in connessione profonda con lei” ed è meraviglioso questo passaggio che il regista siciliano ha voluto inserire, in un’epoca in cui discutere sembra un’eresia, che è invece necessaria nella coppia, per non vivere nell’ipocrisia che va a discapito delle relazioni vere. É il momento della litigata che permette a Sal di riaccendere una passione mai sopita, accompagnata dalla stupenda musica Wind di Emmir Fend, quasi a creare una colonna sonora della quotidianità dove c’è sempre la possibilità di chiedere scusa..

La mano di Sal sul braccio di Zoe, la mano di lei che stringe quella di lui, gli occhi dei due amanti che si guardano, confermano ancora una volta un cinema che privilegia i gesti alle azioni e che si sofferma su piccole emozioni che, come recita il titolo, determinano una fine e un nuovo inizio.

“Nella vita tutto è morte” ebbe a scrivere il pittore austriaco Egon Schiele, esponente assoluto dell’espressionismo viennese, che seppe unire Eros e Thanatos e che dopo aver perso l’amata Wally scrisse: “Ho perso la mia unica ragione di vita. L’unica che abbia mai contato davvero”. Morì poco dopo la donna che aveva amato, ma probabilmente, con una parte di sé,  era morto nello stesso momento in cui era deceduta lei. Continuò a dipingerla fino alla fine in un inno all’amore rimasto indelebile nella Storia dell’Arte, come se volesse ritrovare i segni fisici e spirituali in un corpo senza suoni. Con valenze diverse ma con la forza melanconica e le riflessioni che vengono inevitabilmente suscitate, Messina, affronta l’intramontabile tema della morte  e dell’amore come se volesse ritrovare i segni fisici e spirituali in un corpo a cui dare la vita nello struggimento di pochi attimi. 

Nel finale, un colpo di scena inaspettato evoca Il sesto senso di N. Night Shyamalan del 1999 e The Others di Alejandro Amenabar del 2001. Fantascienza si, ma ciò che emerge a cavallo fra Eros e Thanatos è l’importanza dell’amore, delle liti, degli errori che permettono di crescere e accettarsi.


di Paola Dei
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