Anna
La recensione di Anna, di Marco Amenta, a cura di Emanuele Di Nicola.
È una donna libera, Anna. Di una libertà tanto radicale da prestarsi a pregiudizi, come dimostra la prima sequenza, in discoteca, dove si produce in sesso occasionale con uno sconosciuto. Inizia così Anna di Marco Amenta, già presentato nelle Giornate degli Autori, ora vincitore del Premio della Critica SNCCI e del Premio del Pubblico al Festival del Cinema di Porretta Terme. Anna vive in Sardegna, nell’entroterra, su un terreno aspro e desolato a cui di fatto partecipa, perché di quella terra fa parte, è come se fosse uno degli elementi che la compongono. La sua condizione solitariae il carattere difficile sono dovuti in realtà a un trauma pregresso, ovviamente irraccontabile. La quotidianità di Anna è sofferta ma rivendica una profonda autonomia, che è soltanto sua, e a suo modo ha raggiunto un equilibrio: lo scossone arriva quando gli emissari di una grande azienda si presentano con l’intento di espropriare il terreno per costruire. Anna dovrà lasciare la casa. Ma com’è possibile? Trovano un cavillo legale, una particolarità, una minuzia del diritto per cui l’abitazione non sarebbe di proprietà della donna, per lo scorrere del tempo e la mancanza di documenti, quindi l’atto di uscita sembra inevitabile. Comincia qui una lunga battaglia legale per evitare la cementificazione selvaggia e mantenere ciò che è proprio, il nido primario: la casa.
Il regista palermitano Marco Amenta cambia temi e luoghi del suo cinema, si sposta dalla Sicilia alla Sardegna, ma ne mantiene l’idea alla base, il pensiero di fondo: raccontare una storia di grande forza sociale senza però rinunciare alla costruzione estetica. Ecco allora la sua “sarda ribelle”, dopo aver inscenato una siciliana, che qui non combatte la mafia ma un potere diverso, lecito eppure ugualmente oscuro: il capitalismo senza freni, che non esita a sfollare la popolazione autoctona pur di compiere il piano. Per Anna non sarà facile, incontra sia aiutanti che oppositori, nel classico Davide contro Golia, costruisce un’ipotesi alternativa con cui si presenta allo scontro finale. Sulla questione della casa abbiamo poi visto tanto cinema militante, che aumenta il suo impatto parlando al femminile, come avviene in Herself – La vita che verrà di Phyllida Lloyd, anche lì una donna e una casa, lì da costruire e qui da mantenere.
A ben vedere, però, se Anna fosse un film solo sulla libertà femminile o sulla battaglia contro una multinazionale sarebbe tutto sommato “normale”, cioé esteticamente forte ma anche piuttosto tradizionale; l’intelligenza del discorso sta tutta nel saldare le due lotte, metterle insieme, farle camminare per mano. Lotte che si specchiano l’una nell’altra: la necessità di mantenere casa viene riflessa nell’autonomia radicale di Anna, anch’essa da non perdere, da difendere e rafforzare. E la donna diventa correlativo oggettivo della terra, è una costola del paesaggio, fonda in un’unica grande opposizione il contrasto alla multinazionale e il diritto alla propria libertà. Le due anime del film, che diventano una sola, vengono certificate dal doppio premio di Porretta Terme che mette d’accordo pubblico e critica. Anna, infine, non potrebbe funzionare così bene senza l’interpretazione della magnifica protagonista Rose Aste, il cui talento viene ottimamente diretto per variare su più registri fino allo sbocciare dell’emozione.
di Emanuele Di Nicola