Animali notturni
A sette anni esatti di distanza dall’esordio col botto dell’osannato A Single Man, con Animali notturni lo stilista texano Tom Ford smentisce chiunque avesse etichettato quel patinato ma convincentissimo urlo contro la discriminazione sessuale come il colpo fortunato del neofita, dimostrando anche ai detrattori più testardi di sapersi muovere con assoluta disinvoltura nel territorio della commistione di generi con un film difficile da catalogare proprio perché ne frulla una buona mezza dozzina senza mai far gridare al pasticciaccio brutto.
Memore della ricetta vincente di A Single Man, il già salvatore della casa Gucci e poi disegnatore di punta di un brand del calibro di Yves Saint Laurent ne ripropone alcuni elementi cardinali che avevano contribuito a decretarne il successo. E cioè traduce in immagini un romanzo di culto (Tony & Susan, pubblicato nel 1993 da Austin Wright e presto diventato titolo chiave per gli appassionati della letteratura con ) tradendolo quel tanto che basta per imprimervi il proprio marchio di fabbrica senza però snaturarne l’essenza.
Rispetto però al libro di Isherwood che aveva fatto da nobile canovaccio al film d’esordio, con Tony & Susan l’asticella letteraria si alza di parecchio. E non tanto per meri valori narrativi messi in campo, quanto piuttosto perché il romanzo di Wright è un esercizio cerebrale di metaletteratura destinato a funzionare benissimo sulla pagina scritta ma fin troppo rischioso per chi avesse deciso di travasarne sullo schermo la struttura cervellotica che interseca tre piani narrativi in un complesso gioco di specchi in cui non si è mai certi di ciò che sia veramente accaduto e ciò che sia invece il puro prodotto della finzione narrativa.
Invece Ford la sua scommessa l’ha vinta in scioltezza firmando un thriller multistrato teso e densissimo che mescola con coraggio il melodramma e il ritratto di (alta) borghesia in interni condendolo col sanguinaccio della revenge story e incastonando il tutto in un vorticoso gioco di cinema nel cinema. Prova ne sia che all’ultima kermesse di Venezia (dove già A Single Man aveva regalato a Colin Firth una meritata Coppa Volpi come migliore interprete maschile) Animali notturni si è portato a casa il Leone d’argento del Gran premio della Giuria senza che una volta tanto nessuno avesse da mugugnare in merito al premio.
Che la struttura del film sia complessa lo dimostra il convivere di tre piani narrativi distinti che si incastrano alla perfezione sovrapponendosi in una scorribanda continua di salti da uno all’altra. Il segmento principale (che apre e chiude il racconto a mo’ di cornice pur non facendola da padrone nel minutaggio) è rappresentato dalla storia di Susan, interpretata con frigida compostezza da una Amy Adams ormai pronta a ruoli di grande spessore come questo.
Gallerista di successo con casa spettacolare nella zona più esclusiva di Los Angeles e un posto fisso nel jet set tutto lustrini bollicine e vacuità che è la California dei ricchi, la vita dell’algida Susan è invece molto meno glamour di quel che sembra: incastrata in un matrimonio appassito in cui l’indifferenza del marito fedifrago non è la ferita più grande che le solca l’anima, galleggia guardandosi vivere dimostrando a se stessa e al pubblico che soldi successo e felicità non sono quasi mai inclusi in un pacchetto da tutto compreso.
A darle uno scossone ci pensa l’ex- marito Edward, dal quale si è separata diciannove anni prima (a seguito di un suo gesto di egoistica irresponsabilità che però lo spettatore scoprirà solo più avanti): dopo un silenzio rancoroso durato anni, l’ex consorte le manda il manoscritto di un romanzo di prossima pubblicazione intitolato Animali notturni e incentrato sulle tragiche disavventure di un padre di famiglia che si vendica in maniera truce di tre balordi rei di avergli violentato e ucciso moglie e figlia al termine di una notte di folle delirio per le strade deserte del Texas occidentale.
Ed è proprio questa feroce storia di vendetta a costituire il secondo asse narrativo della vicenda finendo con l’occupare un buon terzo delle due ore di pellicola: rispetto al libro (dove Susan era molto più dimessa perché faceva la supplente part time, si era a metà degli anni ’90 nel nord ovest degli USA e la protagonista si limitava a leggere la vicenda rimanendone scossa ma senza arrivare a una totale sovrapposizione tra l’ex consorte e il marito vendicatore), qui Susan non ci mette molto a far coincidere l’Edward della sua vita con quello della finzione letteraria.
C’è poi un terzo segmento narrativo, minoritario per i minuti che gli vengono dedicati ma all’apparenza più autentico perché vede Susan ripercorrere con la memoria la propria storia d’amore con Edward, osteggiato dalla famiglia ultra conservatrice di lei perché socialmente ed economicamente inadeguato ma sposato dalla ragazza anche come espressione materiale della propria ribellione a un mondo fasullo cui non crede di poter appartenere ma nel quale finirà col riprecipitare dopo aver abbandonato il debole Edward sostituendolo con un bancarottiere bello e possibile capace solo di tradirla con altre.
Col procedere della lettura di Susan, lo spettatore assiste da un lato al suo percorso di riesame critico della propria inadeguatezza esistenziale (forse causato ad arte dall’ex marito con l’invio del manoscritto) e dall’altro alla truculenta vicenda dell’Edward letterario (che però ai suoi occhi ha le fattezze dell’uomo che l’amava alla follia e che adesso le ha spedito Animali notturni per farla riflettere su un errore di gioventù attraverso una storia di lealtà ed espiazione).
Frettolosamente etichettato come un revenge movie incastonato nella storia della crisi interiore di una donna dell’alta borghesia affetta da un male di esistere figlio dei guasti di un benessere in eccesso, Animali notturni è un film fin troppo complesso per essere liquidato con un approccio tanto superficiale. Né pare sensato scomodare Hitchcock e de Palma come mentori della patina thriller che stempera le crudezze stile Questo non è un paese per vecchi con cui la vendetta dell’Edward del manoscritto Animali notturni viene raccontata.
Ford (autore anche della splendida sceneggiatura) mescola infatti una serie nutrita di generi senza mai dare l’impressione di voler forzare la mano in questo cocktail artificiale solo all’apparenza nel quale il gioco del metacinema onnivoro è sostenuto dalla contemporanea presenza di una serie ugualmente sovrabbondante di temi che si affollano vorticosi trovando la propria sintesi compiuta nella dialettica manichea di vero e falso in continua rincorsa.
Se è infatti arduo distinguere ciò che è vero (realmente vissuto) da ciò che si rivela invece falso (soltanto raccontato nella finzione letteraria) nei tre diversi segmenti narrativi che fanno da spina dorsale allo script, sembra che Ford voglia far capire come buona parte di miti e riti che sono l’essenza stessa della civiltà a stelle e strisce altro non sono che una gigantesca finzione di massa che un popolo intero perpetra e perpetua da tre secoli cercando di autoconvincersi che sia tutto autentico.
Falso è veramente tutto. A partire da quel mondo glamour del jet set losangelino di cartapesta in cui la catatonica Susan galleggia fino al momento in cui la lettura di Animali notturni la scuote dal torpore. Quello stesso mondo nel cui côté modaiolo Ford stesso ha scorrazzato per anni costruendo il proprio successo di stilista delle star di Hollywood che qui è rappresentato in ribaltamento simbolico dagli scioccanti titoli di testa con modelle anziane e obese che ballano nude sui cubi di un’esposizione allestita nel museo di cui Susan è curatrice.
Ma falso è anche quel West polveroso e violento (ben noto a Ford che ci è nato e vissuto da ragazzo) che con la ferocia ruspante dei balordi che ne percorrono famelici le strade deserte a caccia di prede da vampirizzare fa da sfondo alla vicenda di vendetta ed espiazione letta da Susan nelle pagine dell’ex marito: sotto quei cieli infiniti che hanno visto giganteggiare i pistoleri dei secoli passati alla ricerca di una consacrazione nella leggenda, oggi si accalcano solo falsi miti da baraccone, riscattati solo in parte dall’autenticità del poliziotto caparbio e malato come il paese in cui vive che aiuta l’inetto Edward a farsi vendetta.
Una dialettica tra verità presunta e finzione certa di altissimo profilo che regala al film di Ford la conferma di potersi candidare a essere quello che il suo autore e regista voleva forse diventasse. E cioè una specie di «grande romanzo americano» per immagini capace di chiamare a raccolta il meglio dei generi tipici del cinema statunitense per raccontare la fine di un sogno. Quell’American dream degradato oggi a incubo senza domani. Come gli occhi spenti della protagonista quando nella scena finale ingolla un wiskey dietro l’altro fissando atarattica il pubblico nella vana attesa che arrivi l’ex marito per tentare di rimettere insieme i cocci di una vita frantumata per sempre.
Trama
Susan — algida gallerista di successo ingabbiata in un matrimonio infelice —riceve il manoscritto intitolato Animali notturni dal suo ex marito Edward, dal quale è separata ormai da vent’anni, in cui sono raccontate le tragiche disavventure di Tony Hastings, un uomo la cui famiglia finirà per essere decimata da tre balordi. Scossa dalla truculenta vicenda narrata nel libro, Susan trae spunto dalla riflessione sulla violenza della vicenda di finzione per ripensare al passato e ai motivi della propria insoddisfazione presente.
di Guido Reverdito