Anche libero va bene

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anchelibero-stuartKim Rossi Stuart debutta alla regia con un film cui lavorava da molti anni. L’attore romano dopo le valide prove attoriali esibite in Romanzo criminale di Michele Placido e ne Le chiavi di casa di Gianni Amelio, si mette alla prova, per la prima volta, dietro e davanti la macchina da presa.
Anche libero va bene è la storia di una famiglia lacerata al suo interno da ferite che stentano a rimarginarsi. E’ la vicenda di un nucleo familiare raccontata, appunto, attraverso tutta una serie di “scene familiari” relativamente autonome che come tanti tasselli disegnano un mosaico; un nucleo familiare, “fatto a pezzi”, il cui destino è segnato da una madre assente (che abbandona sistematicamente marito e figli per poi ritornare e implorare perdono) e da un padre oppressivo e fin troppo presente (che tenta disperatamente di colmare il vuoto provocato dall’assenza della moglie). Questo padre, nel suo ruolo di genitore-single con problemi economici, manifesta una sorta di “doppia natura”: è autoritario e inflessibile, ma è pure fragile e profondamente umano, infatti lo vediamo anche piangere. È un uomo che alterna scatti d’ira a intense manifestazioni d’affetto. Da un lato è sempre pronto a demolire agli occhi dei figli la figura materna (definendo più volte la moglie “una poco di buono”), dall’altro si mostra pronto ad accogliere in casa la donna che lo aveva ripetutamente abbandonato. E’ un padre che, agli occhi dei figli, esibisce sicurezza e determinazione nelle sue scelte professionali (un cameraman che si autodefinisce imprenditore di se stesso), ma che anche nel suo lavoro tradisce i difetti caratteriali e l’immaturità. Il comportamento dell’uomo è motivato dalla necessità di dare unità, e stabilità, a quella “comunità a tre” che lui forma assieme ai figli Viola, una ragazzina quasi adolescente, e Tommaso, che con i suoi undici anni è ancora un bambino, ma già provato dalla durezza della vita.

Anche libero va bene è principalmente, come lo ha definito lo stesso regista, un film sull’infanzia. L’intera vicenda ruota intorno alla figura del più piccolo componente della famiglia; potremmo dire che il regista, nel girare il film, ha adottato come particolare punto di vista appunto quello di Tommaso. Ciò si deduce anche dalle inquadrature soggettive che ci suggeriscono il suo sguardo e la sua percezione della realtà e delle persone che lo circondano. Egli è sempre in bilico tra “il mondo dei bambini” e “quello degli adulti”; è costretto a crescere troppo in fretta, catapultato in problematiche sentimentali e morali lontane dalla sua giovane età. Tommaso è coinvolto troppo direttamente nel burrascoso rapporto sentimentale dei genitori, assorbendo a pieno i loro disagi esistenziali e affettivi. Uno dei temi portanti del film è l’abbandono materno. La figura materna entra ed esce dalla vita del figlio, lasciando ogni volta vuoti incolmabili. L’inquietudine e la muta sofferenza che accompagnano il piccolo “Tommi” derivano, oltre che dalle imposizioni subite dal padre, dalla difficoltà nel relazionarsi con una madre che non può dargli né certezze né stabilità.

Kim Rossi Stuart fa con delicatezza e precisione un’analisi molto attenta del rapporto genitori-figli, senza mai scadere nella retorica e nella banalità. La scelta dello sport che pratica Tommaso, ad esempio, è uno dei modi per far emergere, in forma insieme sottile ed efficace, il contrasto padre-figlio. Renato vede in Tommaso un potenziale campione di nuoto, e non ammette che il figlio ami il calcio, ma alla fine accetta la sua scelta. La battuta finale pronunciata da Tommaso, “anche libero va bene” (dove “libero” sta a significare il ruolo calcistico), riassume il senso ultimo del film: solo la saggezza dei bambini permette di comprendere gli adulti, di accettarli e amarli nonostante le loro incertezze e contraddizioni. Anche libero va bene è un film amaro e commuovente, ricco di spunti interpretativi. E’ un ottimo film d’esordio che affronta tematiche importanti evitando stereotipi ed effettismi. Alla sua riuscita concorre in misura rilevante un cast di attori capaci di comunicare sentimenti ed emozioni attraverso una recitazione estremamente naturale, fatta soprattutto di gesti e sguardi molto espressivi. Merito, non solo degli interpreti, ma anche della regia che, trattandosi di un’opera prima, risulta singolarmente matura.


di Sara Libutti
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