American Life

In un momento in cui, cinematograficamente parlando, la famiglia sembra un territorio dove, sempre più, si consumano i drammi, Sam Mendes, stavolta, la racconta con un tocco di freschezza e di speranza. Proprio dopo lo struggente Revolutionary Road, in cui il desiderio di fuga di una coppia ne causava la rovina, il regista inglese torna a parlare di un uomo e di una donna e della loro chimera di un “altrove” ideale.
In American Life, però, la narrazione si fa leggera e l’ironia stempera il retrogusto amaro di un sogno infranto che conserva, tuttavia, la bellezza dell’averlo – almeno – inseguito.
Burt e Verona sono una coppia ingenuamente romantica ma talmente naif da non rientrare nel trito clichè del melenso “due cuori e una capanna”. Entrambi convivono con ambizioni frustrate, dolori familiari e speranze mai sopite e nel loro essere “all’arrembaggio” della vita, cercano, anche grazie alla nascita di un figlio, un approdo sicuro. Privati del sostegno dei genitori di lui, provano allora a rifugiarsi presso coloro che sembrano più affidabili e scoprono ben presto che quella stabilità che il senso comune sembra suggerire non è altro che una parvenza di normalità sotto la quale si cela, talvolta, una mesta inquietudine.

Mendes traccia abilmente ritratti impietosi di famiglie al “limite”, spesso ostaggi di clichè, ambizioni borghesi e velleità di trasgressione. Tutti, inevitabilmente, vittime di quell’ipocrisia endemica dalla quale Burt e Verona sembrano, straordinariamente, immuni. I due  protagonisti intraprendono un viaggio, dal Colorado al Canada, disegnando così una variegata geografia umana che dietro la maschera della consuetudine nasconde la tristezza e la meschinità più profonde. Quel rassicurante “American Way of Life” non è altro che una patina di falsa fiducia nel nucleo familiare che dovrebbe fungere da tradizionale riparo ma, in luogo del tragico, Mendes sceglie, in questo film, il registro dell’umorismo sottile per mettere a nudo ogni conformismo.
John Krasinki e Maya Rudolph padroneggiano i loro ruoli e, in perfetta sintonia l’uno con l’altro, orchestrano una convincente commedia del vivere, seguendo il ritmo cadenzato dei dialoghi e delle situazioni mentre i cameos delle star (da Jeff Daniels a Maggie Gyllenhall) si inseriscono come accentri preziosi in una partitura che, nel variare delle note di ogni città e famiglia, risulta efficacemente armonica.
Il luogo che Burt e Verona cercano è ciò che ogni essere umano sembra voler raggiungere, quel punto di riferimento che, finalmente, ci faccia sentire al sicuro: come uomini, come coppie, come abitanti di un Paese – qualsiasi esso sia – che ci sembra ogni giorno meno riconoscibile, meno – appunto – familiare.
Mendes, in questo caso, sa anche sorriderci su pur non rinunciando al retrogusto amaro di un finale che, rifuggendo l’happy end consolatorio sceglie, sì, la speranza ma – realisticamente-  ne conserva intatta l’incertezza.

Per concessione della testata giornalistica Cultframe – Arti Visive


di Eleonora Saracino
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