Alpha dog
Nella ricca ed elegante periferia di Los Angeles un giovane spacciatore, Jesse James Hollywood, orchestra insieme ai suoi amici il rapimento di un quindicenne, fratello di un ragazzo che gli deve 1.500 dollari. Ma quella che inizia come una bravata da adolescenti finisce presto in tragedia: il ragazzo viene ucciso e i rapitori vengono immediatamente arrestati, tranne Jesse James, il quale riesce a oltrepassare il confine con l’intento di arrivare in Sud America. Qui verrà rintracciato dalla polizia solo dopo anni di latitanza, nel 2005. Ora, a 26 anni, è in attesa del processo che potrebbe determinare la sua condanna a morte. E’ a questi fatti di cronaca che Nick Cassavetessi ispira in Alpha Dog, giocando con le tecniche del documentario in un film di finzione, intervallando la narrazione con spezzoni di false interviste, indicando con scritte in sovrimpressione luogo, data e ora degli eventi raccontati, a cominciare dalle prime scene del film, che descrivono compleanni e giornate in piscina dell’infanzia dei protagonisti nei classici filmati familiari in Super8. Nella sequenza in cui Sharon Stone, resa quasi irriconoscibile dal trucco, interpreta la madre del ragazzino rapito che piange davanti alla telecamera, il suo viso è così diverso da quello che appare durante tutto il film che, per qualche attimo, si ha la sensazione di essere di fronte a una intervista autentica. I personaggi si sovrappongono alle persone reali, le comparse che hanno lavorato nel film, come recitano ancora le scritte in sovrimpressione, diventano testimoni del rapimento, ed hanno un nome e un numero come in una inchiesta documentaristica. Così lo spettatore assiste quasi vojeuristicamente alla ricostruzione del rapimento e del delitto, mentre è emotivamente coinvolto nella finzione cinematografica della storia raccontata. I ragazzi che Cassavetes descrive con agghiacciante realismo vivono in una dimensione sospesa e ovattata; privi di riferimenti culturali validi, confondono la realtà della vita con la sua rappresentazione distorta, la stessa che appare sui mega-schermi televisivi delle loro ville con piscina. Giocano a fare i gangster e gli spacciatori per uniformarsi al mondo patinato, vacuo e inconsistente esemplificato da un videoclip hip hop che in una sequenza del film li accompagna durante una festa, dove, senza accorgersene, stanno già mettendo in scena quello che vedono in tv come davanti a uno specchio. I loro genitori, se ci sono, si comportano più o meno come dei coetanei. Come fa il padre di Johnny Truelove (così Cassavetes sceglie di chiamare Jesse James), il quale aiuta il figlio spacciatore a rifornirsi di droga.
Alpha Dog è un’analisi precisa e diretta di una determinata realtà sociale, che il regista riesce a rappresentare nella sua complessità evitando di tracciare una linea troppo netta per separare il bene e il male. Non esistono buoni e cattivi, esiste soltanto una società allucinata, che rischia di condannare alla pena capitale degli adolescenti deviati che essa stessa ha generato. I ragazzi che uccidono Zack sono gli stessi che durante i cinque giorni del rapimento si divertono con lui alle feste notturne in giro per la periferia di Los Angeles. Mentre Johnny appare subito più cinico e pragmatico, gli altri sembrano piuttosto dei semplici sbandati, immaturi e annoiati. Questa diversa raffigurazione dei personaggi, da una parte tende in qualche modo a umanizzare quelli che poi metteranno in atto l’assurdo piano di Truelove, dall’altra è sconcertante perché suggerisce che chiunque tra i loro coetanei e amici avrebbe potuto rendersi complice, se non esecutore, di un omicidio. Tutti sanno, infatti, che il ragazzo quindicenne che accompagna la comitiva di Truelove è stato rapito. Qualcuno potrebbe provare ad impedire che venga ucciso. Ma nessuno reagisce. Perché? Come in un gangster movie, come nel mondo artefatto della tv che esalta la violenza, il rapimento è per i ragazzi una favola eccitante, una farsa, una messa in scena. Eppure le armi sono vere. Così come lo sono gli atti del processo a Jesse James Hollywood su cui il regista ha lavorato per costruire la sceneggiatura.
Forse se ancora ci si aspetta di ritrovare nel cinema di Nick Cassavetes un’eco dello stile originale e personalissimo del padre John, si può restare delusi. Ma il regista di Alpha Dog ha scelto di muoversi in una diversa direzione, per cui, sforzandosi di evitare paragoni in fondo sterili, si può affermare che col suo quinto film ha saputo fotografare con acutezza e abilità un certo spaccato sociale, e al contempo affrontare, con sguardo attento e libero da pregiudizi, un caso di cronaca tanto angosciante quanto rivelatore.
di Arianna Pagliara