Alexander

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alexanderoliverstoneimgGirato in 94 giorni tra Marocco e Thailandia, il colossal indipendente fortemente voluto da uno Stone quanto mai regista, è stato poco compreso ed apprezzato negli Usa ed ha avuto una fredda accoglienza anche nella vecchia Europa, dove di solito i lavori del regista di Platoon (1986) sono stato sempre osannati.
Cosa succede quando uno sceneggiatore illustre, col pallino della regia, decide improvvisamente e indipendentemente di misurarsi col mito e con la storia? La perdita progressiva di rigore logico e del ferreo rispetto della storia, fanno di Alexander un film che vorrebbe, come molti prodotti simili, sopperire le carenze realizzative con scene di battaglia e maliziosità. In realtà a salvare questo costoso peplum dalla soglia di mediocrità dove si assesterebbe assieme all’orrendo Troy (2004) di Wolfgang Petersen, è quel torbido senso di perversione che aleggia nelle scene girate “a palazzo”. Non che ci abbia impressionato la storia d’amore omosessuale con Efestione, il fisico tarchiato di Colin Farrell ne i suoi capelli neri della ricrescita in una chioma da drag queen. Ma francamente una Angelina Jolie che fa il ruolo della madre, Olimpiade, anche se più giovane dello stesso protagonista, contornandosi di serpenti ricalca quelle parodistiche e scollacciate interpretazioni che sono tanto care alle più degenerate commedie nostrane se non addirittura agli sproff in stile Io, Caligola (1979). I complotti di corte tanto amabilmente narrati da un Anthony Hopkins (Tolomeo) inossidabile, che dovrebbero essere un mix tra la farsa e un libro di Gore Vidal, sono pretenziosi modi per nobilitare politicamente l’opera. Peccato per il film tutto, che le intenzioni di Stone siano state sempre più serie. Le musiche roboanti di Vangelis certo non aiutano questa convinzione.

Il regista si è misurato col mito di Alessandro Magno, macedone allievo di Aristotele e conquistatore di mezzo mondo a soli 27 anni, come se stesse scrivendo un nuovo capitolo della saga di Conan il Barbaro (1982). A volte con una leggerezza tale da essere disarmante. Certo, le scene delle battaglie in cui il brevilineo Farrell conduce le sue armate verso la vittoria sono veramente da antologia, ma non salvano questo film che risente di essere un autarchica risposta al ritrovato amore per il passato da parte di Hollywood. Alexander soffre del fatto di non essere un biopic, soffre del fatto di non essere un vero e proprio peplum. Ha scopi più nobili di quella sorta di Rocky dell’antica Roma che è stato Il Gladiatore (2000), ma non arriva mai a dichiarare una vera e propria morale nascosta, non arriva ad un messaggio sfumato attraverso il mito e il tempo. Alexander è un film fatto di emozioni, non è fatto per essere messo al servizio dei libri di storia e ciò è stato voluto fortemente dal suo creatore, anche quando dichiarava che in fin dei conti lui è un drammaturgo e non un storiografo. Una dichiarazione che è come un coltello a due lame per chi per anni ci ha mostrato sempre l’altra faccia dell’America. Una dichiarazione alla David Mamet, per un personaggio che è stato sempre un nemico delle grandi majors e dell’entertaiment, che ha saputo sempre filtrare senza banalità la storia che si è trovato a raccontare.

Le battaglie di Alessandro come la guerra in Vietnam, i suoi patemi come la grande croce degli strateghi di tutte le epoche. E’ un Oliver Stone diverso, certamente peggiore, di quello “socialmente impegnato” al quale ci eravamo da tempo abituati. Anche se giura cheAlexander è il progetto di una vita, sicuramente avrebbe potuto trovare i fondi per pagare un buon consulente storico che intervenisse pesantemente nella sceneggiatura finale. Magari si poteva risparmiare nel odioso vezzo di far addestrare gli attori da un dei massimi esperti militari del cinema come il capitano Dale Dye.


di Armando As Chianese
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