Al Dio ignoto

Al Dio ignoto è il nuovo film di Rodolfo Bisatti, che parte dalla poesia del più ateo dei filosofi, Friedrich Nietzsche. Un'opera etica e coraggiosa.

Al Dio ignoto è il nuovo film di Rodolfo Bisatti, che parte dalla poesia del più ateo dei filosofi, Friedrich Nietzsche, per mettere in scena un etica del linguaggio e soprattutto un’etica della vita.

«Una società che non pensa alla morte è destinata a morire». Sono le parole di Rodolfo Bisatti con cui apre il press-book del suo ultimo lavoro, Al Dio ignoto. La D del titolo del film è maiuscola come è maiuscola nell’incredibile poesia del più ateo dei filosofi, Friedrich Nietzsche: Torna, mio Dio sconosciuto! Mio dolore, mia ultima sorte, mia felicità! e Ancora una volta, prima di andare oltre, e di spingere innanzi il mio sguardo, levo a te le mani congiunte, a te, che imploro, cui nel profondo del cuore consacro solennemente altari, affinché sempre la tua voce mi richiami. Su di essi arde, profondamente inciso, il motto: “Al Dio Ignoto”.

Il Dio, ignoto, sconosciuto, di Nietzsche è un dolore e allo stesso una felicità, una ricerca e contemporaneamente una menzogna (ma qui, non sembra tale). Mentre il Dio degli anziani malati terminali dell’hospice palliativo di Merano del film di Bisatti sembra essere la cura, l’attenzione, la dolcezza di una infermiera, Lucia, che con la morte ha avuto già tragicamente a che fare. Nemmeno Nietzsche, che pure per tutta la sua vita filosofica ha cercato di rimuovere Dio e con lui la Morte, ci è riuscito del tutto se poi lo “implora” e lo “consacra solennemente”. Di fronte alla Morte la domanda di un Dio possibile per quanto “ignoto” e “sconosciuto”, sembra lecita, ma ancor più non è pensabile rimuovere la domanda sulla Morte: rimuoverla significa farne un tabù. Ha ragione Bisatti quando nel presentare il suo film scrive che «vivere nella consapevolezza della morte non significa esserne assoggettati ma, al contrario, gestire in modo migliore il proprio tempo, investire sugli aspetti essenziali della vita. Una visione che non è materialistica, ma che vede nelle cose di tutti i giorni lo splendore dell’Esserci; la Meraviglia».
Non si pensi, dopo questa premessa, che Al Dio ignoto sia un trattato su Dio e sulla Morte: è il fondo su cui si muove e muove una piccola, minimale, storia che a poco a poco rivela a noi “lo splendore dell’Esserci” che non è fatto di grandi cose, di gesti memorabili, ma piccoli gesti e azioni: una partita a scacchi, un cielo stellato visto in compagnia, una carezza e una parola di conforto. Il padovano Bisatti, che con Ermanno Olmi è cresciuto, di Olmi incarna molti atteggiamenti narrativi e stilistici (non è un difetto se il modello è di qualità): una recitazione sottotono, smorzata, scarna come il linguaggio e i dialoghi che non sono forme di sciatteria ma la cifra stessa che sostiene i personaggi altrimenti falsi. Di Olmi, Bisatti ha appreso a sottrarre a mai eccedere, a lasciare elementi di un “primitivismo” molto “lontano da Roma” (e dalla sua platischeria seriale) e dal cinema mainstream così “moderno” da sembrare tutto eguale. Sì, lo stile di Bisatti torna indietro di più di trent’anni, alla Lunga vita alla signora!, film così ruvido da sembrare opera di un minore, ma tanto pieno di stile.

Non è un problema il budget, che questo conta molto per i film “pacchettini-regalo”, che, per quanto ne sappiamo, è stato assai modesto per il film (crowdfunding e altre piccole risorse), il problema è avere comunque un’idea narrativa, un’etica del linguaggio e soprattutto un’etica della vita. Al Dio ignoto questi elementi non mancano, forse scarseggia un controllo più serrato della sceneggiatura (il rapporto col figlio che pure si risolve visivamente con un bicchiere di vino eccessivamente colmo da rompere una frattura) e qualche immagine da film-commission di troppo (si sa, bisogna concedere…), ma l’insieme regge e ci rivela che si può affrontare la Morte con dignità se qualcuno ce la concede. I protocolli clinici, le fredde procedure che precedono la fase della fine vita, sono forme di tabù: la Morte non è una malattia, ma un periodo della vita. Se lo si capisce si può aiutare gli altri e anche se stessi a superare i traumi che la vita organica ci offre (palliativo è un termine freddo e lontano).
Lo si veda sulla piattaforma Chili su cui è distribuito in streaming (di meglio di questi tempi non si può) perché, come scrive Bisatti, anche noi crediamo che «l’argomento di questo film sia fondamentale per attivare una ricostruzione consapevole della società» perché «la paura e l’allarmismo, come vediamo in questi giorni, portano al panico e alle barbarie, mentre la consapevolezza conduce alla capacità di preservare e ricostruire con intelligenza».


di Giuseppe Ghigi
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