Air

La recensione di Air, diretto da Ben Affleck, a cura di Frédéric Pascali.

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La storia di un brand, legata a quella del più grande giocatore che abbia mai calcato il parquet di un campo da basket, si fa testimonianza di celluloide attraverso la regia compassata di Ben Affleck. Andando a ritroso nel tempo, fino al punto in cui la Nike di Portland viaggia in gruppo e il traguardo per il primato assoluto appare ancora troppo lontano, il sipario si apre e mette in scena un racconto fitto di dialoghi e di primi piani, con pochi esterni e molti interni, dettagliati con grande cura e attenzione.

Grazie a un manipolo di dirigenti dell’epoca e, soprattutto, della tenacia di Sonny Vaccaro, colui che più di tutti conosce a fondo quel mondo e i suoi talenti, la Nike riesce là dove la concorrenza fallisce: il contratto di Michael Jordan. Le doti empatiche del manager, la sua capacità di scovare talenti e comprenderne le potenzialità, determinano il successo di un’operazione affatto banale. Acquisita la fiducia dei genitori del ragazzo, strappare il suo grande talento ai colossi dell’epoca, quali Adidas e Converse, diventa un’opportunità concreta. Aiutato dall’intraprendenza di Phil Knight, capo e amico di vecchia data, prima recalcitrante e poi suo grande sostenitore, Sonny realizza lo storico accordo.

Air, ben illustrato dalla calda fotografia di Robert Richardson, convince nella ricostruzione storica, condita della necessaria epica e retorica, ma lascia un po’ perplessi nei cambi di ritmo piuttosto evanescenti o poco incisivi. Fermo restando il cast di alta nobiltà, dal protagonista principale Matt Damon, Sony Vaccaro, a Ben Affleck nei panni di Phil Knight, a Jason Bateman, a Chris Messina e via dicendo, resiste una certa eccessiva linearità di scrittura che fatica a cambiare passo nei punti di svolta. Gli va comunque dato merito di riuscire a raccontare la genesi di un marchio, destinato a diventare leggenda, attraverso l’umanità di coloro che contribuirono a crearlo e a renderlo tale. Un vento di ritratti troppo fugaci soffia sull’intero racconto ma l’idea resta lodevole, così come la cura di alcuni aspetti vintage del periodo che contribuiscono non poco a dare il senso di un’epoca in continuo divenire, destinata a lasciare un solco indelebile nelle nostre vite.


di Frédéric Pascali
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