47 metri

Film di accettabile qualità, 47 metri è basato sul linguaggio del thriller, tutto per raccontare una storia “possibile” che potrebbe capitare a due ragazze qualsiasi. La bravura degli sceneggiatori sta nell’evitare esasperazioni drammatiche della vita di due sorelle che si vogliono molto bene, che condividono emotivamente l’abbandono del fidanzato storico della più grande per poi avventurarsi in un momento adrenalinico che si trasformerà in dramma. Così, la paura giunge non per effetti speciali ma per l’assenza di suoni, di visibilità, di speranze.

Il britannico Johannes Roberts è un autore di B Movie specializzato nei film ad alta tensione, senza necessariamente utilizzare le tecniche dell’horror. Non è certo un regista tra i migliori ma riesce sempre a creare vicende di buon interesse, tentando ogni volta di donare qualcosa di originale. Più bravo nella scrittura che nella regia, ha realizzato prima di questo film The Other Side of the Door (2016) – l’unico distribuito in Italia – dopo avere diretto in quindici anni di attività altri sette titoli.

Anche in occasione di 47 metri ha scritto in coppia con il quarantenne catalano Ernest Riera, e il connubio sembra aver funzionato bene. Pochi personaggi, location limitate. Questa impostazione ha permesso di realizzare un prodotto low cost di accettabile qualità in cui si possono notare anche passaggi interessanti. Il finale, ad esempio, è costruito con bravura, con un sottofinale che suona come un happy end a cui segue un’altra visione delle stesse situazioni ma con uno sviluppo imprevedibile.

Pur avendo girato scene in Repubblica Dominicana – che serve quale location per le immagini ambientate in Messico – in cui i Pinewood britannici hanno Studios di buon livello, le più utili all’economia del film sono state realizzate a pochi chilometri da Londra presso The Underwater Studio in cui è possibile realizzare qualsiasi immagine subacquea con notevole credibilità ed in assoluta sicurezza.

La buona fotografia – curata dall’esperto Mark Silk, responsabile delle immagini in acqua in film quali Under the Skin (2013) e Captain Phillips – Attacco in mare aperto (2013) (nonché in varie serie televisive) – evidenzia in maniera valida i momenti drammatici vissuti da queste ragazze, le quali sono costrette a pensare alla morte, a come sopravvivere trovando il modo di non soccombere ad un’avventura in cui forse il desiderio di spendere qualcosa di meno – al hotel era stato sconsigliato il capitano della barca – rischia a loro di costare molto caro.

Senza voler caricare troppo i toni nella descrizione visiva, dobbiamo dire l’imbarcazione del comandante Matthew Modine – la sua presenza è poco più di un cammeo – è proprio una bagnarola arrugginita a cui a poppa è attaccato su di un poco tranquillizzante verricello una vecchia gabbia anti squali.

Tutto quanto è inerente alle immagini sotto le tranquille acque di un oceano bello e invitante viene raccontato in maniera credibile, dalla preparazione del pastone per attirare gli squali alla discesa senza problemi alla profondità di sei/sette metri, dagli incontri ravvicinati con i temibili animali fino a quei colpi alla struttura metallica che viene spostata dal loro vigore. Ma anche nel prosieguo ancora più drammatico, con la subitanea caduta sul fondo a 47 metri, ogni cosa è seguita con attenzione e curata nei particolari.

Gli squali ci sono, ma servono unicamente per dare la tensione visiva al vero dramma delle protagoniste le quali devono affrontare il claustrofobico buio, la paura di essere abbandonate dai soccorritori, il crollo delle speranze quando tutto sembra andare per il verso storto, la presenza di quelli che dovevano essere il centro solo di belle immagini e che loro non vedono ma di cui sentono la presenza.

L’australiana Claire Holt è la sorella più giovane, un po’ scapestrata e con tanta voglia di vivere; molto solare e spontanea nelle scene in superficie, sott’acqua ha ovviamente il viso coperto dalla maschera che non le permette di aggiungere qualcosa alla mimica del volto. La statunitense Mandy Moore, cantante di buon livello e attrice già candidata al Golden Globe, ha un personaggio che le permette maggiore drammaticità anche attraverso il momento difficile che vive dopo l’abbandono.

Il film ha avuto un iter non facile. Pronto nel 2016, doveva essere distribuito dalla Dimension Films a inizio agosto col titolo In the Dark. A una settimana dalla data prevista i diritti sono stati comprati dalla Entertainment Studios che ha cambiato il titolo e ha ritardato in USA la presentazione a metà giugno di quest’anno, trasformando la distribuzione italiana in una prima a livello mondiale.

 

TRAMA

Due sorelle molto affiatate sono in vacanza in Messico dopo che la maggiore è stata lasciata dal fidanzato stanco per la sua eccessiva prevedibilità che privava il rapporto di emozioni. Scoperta la realtà di questo invito all’ultimo minuto, la più giovane decide di coinvolgerla in una serata in discoteca dove incontrano due giovani del luogo – probabilmente procacciatori di clienti – che le convincono a fare una discesa sotto l’Oceano per fotografare gli squali. Tutto bene il mattino dopo, anche se l’imbarcazione non sembra molto rassicurante. Bene la discesa della loro arrugginita gabbia. Ma il cavo esce dal verricello e le ragazze si ritroveranno a precipitare in fondo al mare intrappolate, con la luce che piano piano si consuma, attorniate da squali famelici e con sempre meno ossigeno a disposizione.


di Furio Fossati
Condividi