2046
Solo in una misera stanzetta d’albergo, nella Hong Kong del 1966, lo scrittore Chow Mo Wan (Tony Leung Chiu Wai) cerca di rimettere insieme i pezzi della sua vita, dei suoi amori e della storia che lo ha portato a versare in questa situazione, attraverso un romanzo. Lo fa, seguendo una strana concezione del tempo: partendo con una trama fantascientifica, ambientata nel 2046, in cui riversa il suo passato cercando di non dimenticare ciò che ha vissuto, le donne che ha amato; e qui entrano in gioco le stupende Gong Li, Faye Wong, Zhang Ziyi e una sfuggente Maggie Cheung, spettro evanescente di In the Mood for Love, e soprattutto questo suo presente scomodo, proiettando la sua penna in un ipotetico futuro che però, fatto di corsi e ricorsi della sua vita, diviene a mano a mano un giardino dai sentieri che si biforcano, la ricerca disperata di un appiglio sul baratro della solitudine. Unico indizio di questa “indagine” ossessiva nel tempo, unico legame tra diverse epoche, diversi amori e diverse solitudini: il ripetersi del ritornello di Casta Diva, di Siboney e del tema del film Finalmente Domenica! di François Truffaut come un intenso refrain capace di viaggiare, musicalmente, attraverso le epoche.
Grazie a una stupenda fotografia firmata Christopher Doyle, il fine regista Wong Kar Wai, maestro della memoria e del silenzio, inizia una sorta di personale e particolarissima ricerca del tempo perduto. Intrapresa proustianamente, come al suo solito, con grande stile portando discretamente lo spettatore nell’anima dei suoi personaggi, come aveva già fatto con l’intimista In The Mood for Love (2000), sempre ambientato negli anni ‘60. Tornano quindi i suoi ambienti angusti, teatro di dualismi, amori o (psico)drammi umani, contrapposti ai grandi mondi interiori dei protagonisti, talvolta anche alla loro sofferenza. 2046 è un film che brilla di luce propria e che assolutamente non ha bisogno di essere paragonato al cinema europeo o vivere all’ombra dello stesso In the Mood for Love, di cui sembra essere un sequel, un remake o se vogliamo semplicemente una perfezionistica rilettura con toni portati all’esasperazione e nuove dimensioni. E’ sicuramente un picco della carriera del regista cinese, un esempio raro ma potente di cinema fatto di sensi, di sublimi immagini che emozionano grazie al loro valore evocativo. La memoria riversata sulla celluloide di 2046, è filtrata attraverso la condizione del protagonista, attraverso il “futuribile” del romanzo che sta scrivendo, ma è composta da frammenti che non hanno bisogno di un rigido plot per coesistere, soprattutto non hanno bisogno di una precisa epoca, di un tempo. E’ una nuova, evoluta, psiche quella del protagonista Chow Mo Wan: stesso nome e stessa professione di quello di In the Mood for Love, ma diverse posizioni di pensiero per un modo nuovo e in fin dei conti sublime di fare del cinema una ricerca, soprattutto, interiore. Il protagonista è uno scrittore, legame con la letterario fortemente voluto da Kar Wai, forse per non fare di questi un regista ed europeizzare un film che riflette una coscienza asiatica, ma anche un ritmo e una discrezione che hanno dell’antonioniano.
2046 rappresenta un punto di vista nuovo dello stile personale e del discorso (meta)cinematografico di Wong Kar Wai. Un risultato da vedere e non paragonare, ma da rispettare e da tenere come esempio di cinema d’autore alternativo. Una pellicola né europea né americana, ma fondamentalmente cinematografica come non mai, come oramai ce ne sono poche in queste due famose e citate fazioni.
Note critiche di Daniele Guastella
Film ipnotico 2046, fatto di continue ripetizioni e sottili ma persistenti variazioni, in una temporalità fluttuante e in uno spazio ‘mobile’, che ritornano sempre su se stessi a diversi livelli di consapevolezza. Shangai è un punto di partenza o di ritorno, visto e considerato che il film procede per arretramenti…? Si tratta di blocchi di tempo, serie temporali che investono i personaggi, le figure, le loro storie, in uno spazio sostanzialmente entropico, convergente. Non si può tornare indietro, dichiara il protagonista, si va solo in avanti, ma il senso di questo procedere progressivo, spesso sottolineato dalle numerose didascalie, è filtrato dalla percezione soggettiva della coscienza che lo in-forma e de-forma di continuo. Minuti, ore e giorni di vuoto, d’attesa, di immobile sospensione, o, al contrario, interi anni contratti, cristallizzati in un’immagine o in pochi istanti decisivi. Gli stessi segni, i significanti, slittano e si biforcano sul piano del significato: 2046, una stanza d’albergo, una proiezione nel futuro, un’immagine personale, cifrata, un destino collettivo…
Le immagini si ripetono ossessivamente, come i temi musicali, perché è la memoria ad evocarle, la coscienza a rielaborarle continuamente, e questa continua rielaborazione fa del film un lungo déjà-vu, un’intensa variazione sul tema in sé sempre sfuggente del sentimento amoroso, della relazione affettiva, delle scelte irrimediabili, delle contraddizioni dell’esistenza e del senso della vita stessa. Si spiegano forse così i numerosi, insistenti primi piani sui volti femminili, spesso vuoti o insignificanti, in momenti di pausa o di normali attività quotidiane, o al contrario carichi di un’intensità emozionale inesprimibile altrimenti: ciò che sfugge è proprio il cuore del problema, l’impossibilità di ritornare veramente sui propri passi, ma al tempo stesso l’impossibilità di andare avanti senza trascinarsi dietro il passato, che reclama un senso… Così le immagini si ripetono, perché è lì, nel cuore del visibile stesso, che si annida l’inesprimibile, l’invisibile, il senso occulto delle cose, ad un tempo prigione ed evasione, incontro ed abbandono, passato ma anche futuro… D’altronde dietro una donna ce n’è sempre un’altra, in una modulazione che procede lungo la serie di ritratti femminili seguendo i due opposti sensi di marcia, grazie ad una sottile variazione, una sfumatura invisibile che lega e unisce mentre distingue e separa, un’impercettibile sfasatura emozionale…
I soggetti sono sempre ‘nel mondo’, mai in assoluto, in sé e per sé, al contrario sempre inseriti, incistati nel contesto, nelle circostanze. Così i numerosi primi piani-ritratti femminili sono sempre giustapposti a colori molto decisi- il rosso, il nero…- e le inquadrature funzionano come cornici, al cui interno lo spazio riservato alla figura umana è spesso, quantitativamente, estremamente ridotto o delegato in un angolo ai margini del quadro, mentre il resto è occupato da una tenda, un’insegna pubblicitaria, una finestra … Sono i movimenti del mondo che trascinano con sé i personaggi, ma al tempo stesso sono questi ultimi ad immettere continuamente il mondo in un altro movimento- soggettivo, affettivo, emozionale, relazionale-, che segue leggi proprie e può applicare delle resistenze o delle inversioni al primo: il movimento del senso, della sua ricerca, della perdita…
Daniele Guastella
di Armando As Chianese