Tet a Tet
Il quinto appuntamento con la rubrica Cinema è Storia ragiona sull'offensiva del Tet, e sui suoi modi di rappresentazione nel war movie hollywoodiano.
A chi si riferisce il soldato Joker, ovvero l’attore Matthew Modine, quando con sarcasmo si rivolge al sergente maggiore e capo istruttore Hartman, interpretato da Lee Ermey? La battuta chiave è: «Sei proprio tu John Wayne? E io chi sarei?». Chiunque avrebbe giurato che il sarcasmo del protagonista di Full Metal Jacket (id., 1987) di Stanley Kubrick riguardasse il film di cinquant’anni fa non solo interpretato ma anche diretto da John Wayne, I berretti verdi (The Green Berets, 1968), divenuto ben presto impopolare almeno quanto la guerra in corso, almeno una certa frangia di spettatori. A rafforzare la certezza che il bersaglio del film di Kubrick fosse I berretti verdi ecco estendersi la rete dei rimandi: nell’importante romanzo del reduce Gustav Hasford, The Short-Timers (pubblicato nel 1979 e tradotto in Italia col titolo Nato per uccidere), dal quale Kubrick aveva tratto il film, Joker e altri soldati di stanza a Da Nang trascorrevano nel 1968 la fatale vigilia del Tet, il Capodanno lunare vienamita, assistendo a una proiezione de I berretti verdi: «È il film più buffo che si sia mai visto da non so quanto tempo… I combattenti ridono e fischiano, da pisciarsi sotto», era il commento di Joker. Qualunque fosse l’opinione su I berretti verdi, certamente Joker, o meglio l’autore del libro Gustav Hasford, ricordava male la circostanza. Il film di John Wayne uscì solo nell’estate del 1968, a luglio: ben cinque mesi dopo che nordvietnamiti e vietcong nel febbraio dello stesso anno, in concomitanza col Tet, sferrassero una controffensiva durante la quale fu presa d’assalto persino l’ambasciata americana a Saigon. Al Congresso i primi mesi del 1968 avevano dato ragione alle polemiche delle “colombe” e messo in minoranza i “falchi”: nemmeno il Sud Vietnam, la zona americana, era sicura. L’opinione pubblica negli States si rese improvvisamente conto di quanto fosse vulnerabile il suo esercito. La vittoria e la fine del conflitto non erano dietro l’angolo, il coro di proteste di liberali, studenti e intellettuali, e non solo loro, attraverso la massiccia risonanza dei media e delle grandi reti televisive, portò il tasso di impopolarità di quella guerra al massimo storico e la presidenza di Lyndon Johnson al colpo di grazia. John Wayne aveva di certo scelto il momento sbagliato e la guerra sbagliata per il suo film. Ma Kubrick, più puntiglioso di Hasford, non ce l’aveva con lui. O almeno non con I berretti verdi. Piuttosto, attraverso quella battuta di Joker, alludeva piuttosto al precedente film di Allan Dwan sulla Seconda guerra mondiale, Iwo Jima (Sands of Iwo Jima, 1949), dove John Wayne era Stryker, nomen omen, comunque sia un umanissimo sergente di ferro.
Kubrick, che non aveva mai concepito i propri film di guerra come ingenue parabole pacifiste, semplicemente, con rigore filologico e cronologico buon senso, era convinto dell’improponibilità in quel contesto particolarmente incerto della guerra in Vietnam di un sergente wayniano sulla falsariga di quello di Iwo Jima, già allora emblematico dell’intervento degli USA in Corea.
Insomma non c’entrava nulla I berretti verdi. John Wayne, anche in veste di produttore, non poteva scegliere fase peggiore sul fronte interno degli Stati Uniti per metterlo in cantiere e farlo uscire in sala. Ma questi erano affari suoi o del suo paese.
Comunque, un’altra storia.
di AntonGiulio Mancino