Da Prokof’ev a Prokof’ev, il potere vuole la sua musica (Prima parte)

Per la rubrica "Cinema è storia", CineCriticaWeb pubblica la prima parte di un saggio di Roberto Pugliese sul rapporto tra il potere politico e la musica per il cinema, dall'URSS alla Russia di oggi.

Il diagramma di Ejzenstejn per l'incipit della battaglia sul ghiaccio di "Aleksandr Nevskij"

In nessun’altra cinematografia come quella russa (sia sovietica che postsovietica) il ruolo della musica si rivela così fondativo nell’accompagnare, sottolineare, delineare e a volte contraddire i processi storici che vi si descrivono, a volte tumultuosamente e apologeticamente, altre in chiave più riflessiva e addirittura – almeno sino all’avvento dell’autocrazia putiniana – critica. E il motivo è abbastanza semplice.

Per i maggiori compositori formatisi negli anni dell’URSS, radunati nella “Союз композиторов СССР” (Soyuz kompozitorov SSSR) o Unione dei Compositori Sovietici, fondata da Stalin nel 1932 con il preciso compito di valutare il lavoro dei musicisti in base ai criteri di adeguatezza ai canoni politici del partito e sciolta solo nel ’91 con il dissolvimento dello stato sovietico, applicarsi al cinema non era affatto un compito secondario o ancillare, vissuto come una sorta di demansionamento artistico rispetto ad altre sfere della loro creatività (fenomeno e sentimento invece comuni a moltissimi compositori occidentali), bensì un’investitura fondamentale, un impegno di primo piano e di grande responsabilità, nell’ambito di quella funzione di propaganda della quale la cinematografia sovietica doveva incaricarsi.

La collaborazione tra Sergej Prokof’ev (1891 – 1953) e Sergej Ėjzenštejn, o l’intenso lavoro per il cinema (inizialmente addirittura come pianista per film muti) di Dmitrij Šostakóvič (1906 – 1975) costituiscono solo la punta di un iceberg immenso, rappresentato da compositori sicuramente meno blasonati e artisticamente rilevanti ma non meno coinvolti nella complicata impresa di coniugare un minimo vitale di autonomia creativa e linguistica con i rigidi dettami ideologici del realismo socialista, adeguando l’una e gli altri a partiture – e vicende – volte a celebrare, mitologizzare e tramandare la magnifiche sorti e progressive della Rivoluzione, della “Grande Guerra Patriottica” e degli eventi immediatamente successivi.

Non è forse un caso, allora, che gli altri due giganti del Novecento musicale russo, Sergej Rachmaninov (1873 – 1943) e Igor’ Stravinskij (1882 – 1971), una volta scelta la via dell’esilio negli Stati Uniti, si siano sempre tenuti ben lontani, forse per reazione, dalla musica per film. Peraltro il primo, oltre a vedere spesso proprie musiche impiegate nel cinema – un esempio per tutti, il Secondo concerto per pianoforte in Breve incontro (Brief Encounter, 1945, David Lean) –, ha influenzato direttamente stuoli di compositori e di titoli con il suo pianismo fiammeggiante e di travolgente romanticismo.

Il secondo sfiorò un incarico hollywoodiano quando nel 1942 fu contattato per Uragano all’alba (Commandos Strike at Dawn, John Farrow), war movie di propaganda antinazista, salvo vedersi estromesso quando oppose un netto rifiuto a qualunque modifica o taglio della propria partitura, che confluirà successivamente nei Four Norwegian Moods. Le musiche del film furono poi affidate ad un altro esule, assai meno noto e con esiti molto convenzionali, il bielorusso Louis Gruenberg (1884 – 1964); e del resto tra il compositore del Sacre du printemps e Hollywood non correva buon sangue fin dal 1940, quando Stravinskij protestò vibratamente per le manipolazioni operate proprio su quel suo capolavoro da Walt Disney e Leopold Stokowski in Fantasia.

Va anche osservato che gli incroci fra area russa, Mitteleuropa e cinema USA sono sempre stati molteplici e a volte imprevedibili. L’ucraino Dmitrij Zinov’evič Tëmkin (1895 – 1979), più noto come Dimitri Tiomkin, pianista eccelso, diverrà dai primi anni ’30 un protagonista della stagione d’oro nella musica per film statunitense, ed in particolare acquisirà fama per le sue partiture western. Una pattuglia, quella dei numerosi compositori russo-europei emigrati a Hollywood, di cui fanno parte tra gli altri anche il pietroburghese Daniele Amfitheatrof (1901 – 1983), soprattutto direttore d’orchestra ma anche autore attivo in Italia e negli States per registi come Richard Brooks, Otto Preminger e Don Siegel, e l’ebreo tedesco Franz Wachsmann (1906 – 1967), divenuto Waxman, altro protagonista del settore, al quale fu riservata una particolare sorpresa, ossia quella di scoprire, nel dirigere la première americana della Sinfonia n.11 in sol minore op.103 L’anno 1905 di Šostakóvič, una sorprendente analogia tra il fugato dell’Allegro nel secondo movimento Il 9 gennaio e la pagina da lui scritta nel 1951 (ossia sei anni prima del russo!) per la sequenza della fuga di Montgomery Clift in Un posto al sole (A Place in the Sun, George Stevens): sorprendente coincidenza, specie ove si debba escludere la possibilità che il compositore russo avesse visto il film.

D’altronde gli interscambi sotto questo profilo potevano anche essere reciproci: tant’è vero che il finale waxmaniano del Dottor Jekyll e Mr. Hyde (Dr. Jekyll and Mr. Hyde, 1941, Victor Fleming) sembra tolto di peso da quello della seconda suite (versione 1919) dell’Uccello di fuoco stravinskijano. Ma una volta esauriti censimento e aneddotica sui “transfughi”, e quindi sugli evidenti riflessi occidentali che matrici compositive russe hanno registrato nella storia della musica per film, resta da chiarire il ruolo che i musicisti operanti in patria hanno svolto nell’accompagnare la storia del cinema postrivoluzionario e sovietico prima, del “disgelo” poi, e delle difficili decadi seguite alla caduta del comunismo infine. Tenendo ovviamente conto delle evoluzioni/involuzioni che questa cinematografia e i suoi esponenti principali hanno subìto nel correlare strettamente gli avvenimenti e le principali fasi storiche, artistiche e sociali di quell’immenso paese con la propria creatività.

Come osservava con l’abituale acume Sergio Miceli nel suo fondamentale Musica per film (Ricordi LIM, 2009, pagg. 397-398), per quanto riguarda l’utilizzo della musica nel cinema «la “dittatura” esercitata dalle case di produzioni americane, […e] il conservatorismo estetico imposto dalle majors è in fin dei conti analogo a quello imposto dal realismo socialista e dalla politica culturale di Andrej Ždanov (famigerato braccio destro di Stalin e arbitro della linea culturale del PCUS, ndr.)». Al di là di questa probabile analogia metodologica, tuttavia, gli esiti raggiunti dai compositori cinematografici russi (e più in generale di area slava) differiscono notevolmente da quelli dei loro colleghi statunitensi: in primo luogo per il colossale retroterra culturale e accademico di cui i primi – a differenza degli americani – disponevano, forti di oltre un secolo di storia della musica i cui protagonisti si chiamavano Glinka, Borodin, Balakirev, Musorgskij, Čajkovski, Rimskij-Korsakov, Skrjabin.

In secondo luogo fu proprio la spinta ideologica, spesso sotto forma di vera e propria dottrina, a orientare questi musicisti verso un linguaggio sicuramente di retroguardia (almeno nell’apice del periodo staliniano), ma anche sontuosamente accademico ed elaborato, nel quale proprio i retaggi popolari e nazionalisti dei grandi maestri ottocenteschi trovavano un’eredità costantemente ravvivata – a fini di propaganda, certo – da una superiore sapienza di scrittura e struttura. Si tratta, in realtà, di un autentico piccolo esercito di maestri, tutti attivi ben oltre il cinema, dai nomi che oggi dicono poco anche ai più appassionati collezionisti, ma che al tempo furono indagati, catalogati e censiti con pluridecennale pazienza e costanza dal massimo storico italiano della musica per film, Ermanno Comuzio, e raccolti nel suo monumentale Musicisti per lo schermo – Dizionario ragionato dei compositori cinematografici (Ente dello Spettacolo, 2004).

Ciò detto, è evidente che se si vuol tentare una storicizzazione della musica per film russa ci si rende conto che quest’ultima segue dappresso l’evoluzione-involuzione che caratterizza tutte le altre arti sviluppatesi dagli anni immediatamente postrivoluzionari fino al giogo staliniano e oltre. Figure come Prokof’ev e soprattutto Šostakóvič (si tralascerà, qui, l’utilizzo a posteriori delle loro musiche, così come di altri compositori successivi, operato da film e registi occidentali, da Kubrick a Cuarón, da De Sica a Scorsese) si rivelano in questo senso centrali.

Il primo, che nell’immaginario collettivo resta indossolubilmente legato al nome di Ėjzenštejn, ebbe senz’altro il vantaggio di acquisire, durante i suoi soggiorni europei e newyorkesi tra il 1917 e il 1932, un bagaglio di tecniche ed esperienze nel campo della musica cinematografica, del quale avrebbe poi fatto tesoro in una chiave del tutto personale e originale. Benché la sua attività in tale ambito coincida con i più terribili anni delle purghe e dei massacri commissionati da Stalin (è nota la valenza simbolica della data della loro scomparsa, avvenuta per entrambi il 5 marzo 1953), la portata teorica della sua collaborazione con il regista lettone nonché la qualità assoluta delle sue partiture sono tali da renderlo un caso unico, sia nel proprio contesto geografico-culturale che, in termini assoluti, nel campo cinemusicale.

Se le musiche per Il tenente Kiže (Poruchik Kizhe, 1934, Aleksandr Fajncimmer), poi confluite nella suite concertistica op.60, rappresentano il suo debutto folgorante nel cinema, con acuminate e sarcastiche movenze coreografiche e appello ai canti popolari per satireggiare la Russia ai tempi dello zar Paolo I Romanov, poco prima del suo assassinio avvenuto nel 1801, è soprattutto con Aleksandr Nevskij (Id., 1938) che Prokof’ev ed Ėjzenštejn mettono a punto quella “sincronizzazione dei sensi” teorizzata dal regista attraverso la creazione di un’architettura audiovisiva, dove grafia musicale e fotogrammi corrono in parallelo percettivo e strutturale, secondo il celebre diagramma creato dal regista per l’incipit della “Battaglia sul ghiaccio”.

Sarà appena il caso di osservare che, sia per Prokof’ev che per Ėjzenštejn, bersagliati fino a quel momento da feroci critiche di partito per il loro eretico “modernismo”, il film doveva costituire una sorta di ammenda e di viatico riabilitativo agli occhi del dittatore sovietico (che, non a caso, “perdonò” entrambi delle passate digressioni “formaliste” dopo la visione): del resto, proprio la vicenda del film, imperniata sul Principe e condottiero di Novgorod e Vladimir, eroe nazionale della difesa contro i Teutoni che sbaragliò appunto nella Battaglia sul lago di Peipus del 5 aprile 1242, sembrava prefigurare ciò che sarebbe avvenuto solo tre anni dopo con l’Operazione Barbarossa del 1941, che diede il via al tentativo nazista di invasione dell’URSS, “scavalcando” in tal modo lo scellerato patto Molotov-Ribbentrop che nel 1939 – poco dopo l’uscita del film – sanciva la reciproca non aggressione tra Hitler e Stalin.

Le musiche prokof’eviane per il Nevskij, anch’esse poi raccolte nella cantata op.78 per mezzosoprano, coro e orchestra, sono una formidabile silloge di patrimonio musicale nazionale, acceso lirismo, furore ritmico e inventiva timbrica, secondo la più eclettica e multiforme vena creativa del compositore. Meno suggestivo sul piano teorico ma non meno affascinante dal punto di vista squisitamente musicale, fu l’imponente edificio musicale eretto dal musicista per Ivan Groznyi, che Ėjzenštejn suddivise in due parti, Ivan il Terribile appunto (1944) e La congiura dei Boiardi (Ivan Groznyj II: Bojarskij zagovor), realizzato nel ’46 ma distribuito solo nel ’58. Qui la figura di un altro zar, Ivan IV Vasil’evič (1530 – 1584), primo “zar di tutte le Russie” e come tale ancora (soprattutto?) oggi considerato simbolo archetipico del nazionalismo imperialista russo, ispira al compositore un gigantesco affresco, nel quale la suggestione dei suoni (cori, voci soliste, campane, sfrenate parti danzate) insegue dappresso quella delle immagini, ovviamente contribuendo alla mitopoiesi dell’eroe e alla perpetuazione del suo ruolo epico; e che la saldatura tra musica per il cinema e per altre destinazioni sia totale lo dimostra ancora una volta il trasferimento anche di questa partitura in sede concertistica, nel maestoso oratorio per soli, coro e orchestra op.116.

Ancorché piuttosto ridotta, la collaborazione di Prokof’ev con il cinema continuerà in almeno due occasioni a riguardare in chiave di palese propaganda momenti, protagonisti e simboli del passato russo: come nelle musiche, raffinatamente salottiere, per Lermontov (Id., 1944, Albert Gendelshtein), primo film – altri ne seguiranno nel 1986 e nel 2014 – dedicato al grande poeta e scrittore dell’Ottocento, e quelle, nuovamente pompose e squillanti, per Kotovsky (Id., 1943, Aleksandr Fajncimmer e Dmitrij Vasil’ev), apologia dell’omonimo eroe della Rivoluzione bolscevica, condottiero e combattente di primo piano nel Pantheon dell’URSS.


di Roberto Pugliese
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