La cometa-pandemia: il virus della paura
In questi giorni di timori per il rischio di una pandemia legata alla diffusione del Coronavirus, Giuseppe Ghigi torna agli albori del Novecento, quando il New York Times annunciò che il mondo era a rischio per "colpa" della Cometa di Halley.
Il 7 febbraio del 1910, il New York Times annunciò che l’osservatorio Yerkes aveva scoperto la presenza di cianogeno nella coda della cometa di Halley, un composto inorganico che a quei tempi era popolare perché assai usato come fertilizzante. Il quotidiano però glissava sul fatto che si trattava di quantità irrilevanti e che per gli astronomi non c’era modo che raggiungessero l’atmosfera terrestre. Camille Flammarion (anche astronomo oltre che scrittore) divulgò, seppure con prudenza, che la coda della cometa era davvero composta di velenosi gas cianogeni e che non era esclusa la possibilità che tali gas, penetrando nell’atmosfera, giungessero a creare problemi. I giornali di tutto il mondo, ripresero la notizia in prima pagina. “Comet May Kill All Earth Life Says Scientist”, titolava «The Call», quotidiano di San Francisco; «Le Petit Parisien» in un fondo di prima pagina condannava l’ignoranza che dominava il mondo: «[…] dalla profondità della Russia, tra i contadini ungheresi, nelle lontane provincie della Cina, tra i popoli africani […] certe popolazioni delle campagne italiane, molto superstiziose, che da più di quindici giorni passano le loro ore nella preghiera in attesa della catastrofe»; ignoranza certo, ma il giornale non mancava di definire la cometa come “réactionnaire” perché influenzava in modo negativo le elezioni politiche. Negli Stati Uniti si vendettero migliaia di maschere antigas, di inutili pillole antigascometa e la Michelin aveva messo in commercio la bottiglia che conteneva “aria purissima” da respirare per sopravvivere ai gas cianogeni. «Gli uomini fanno ressa nelle strade, scrutando in cielo il segno minaccioso delle comete dal naso di fuoco, che sfiorano le torri frastagliate», scrisse il poeta di George Heym.
La paura dell’astro vagante come agente dell’evento catastrofico e definitivo per l’umanità (un’apocalisse) non è nuova e si prospetta periodicamente soprattutto in particolari momenti e condizioni della storia. Già nella primavera del 1773 (ovvero sedici anni prima dello scoppio della Rivoluzione), Parigi fu pervasa dal panico, allorché l’astronomo Jérôme Lalande predisse la possibilità che una cometa potesse scontrarsi con la Terra. Da “possibilità” teorica a “probabilità” imminente: un’ipotesi scientifica diventa una “falsa notizia” che si inserisce in un contesto culturale diviso tra continuisti (il leibniziano “migliore dei mondi possibili”, messo in crisi nel 1775 dal terremoto di Lisbona) e catastrofisti (il racconto biblico). La “falsa notizia”, o meglio: la trasformazione di un’ipotesi in probabile realtà, trovò terreno favorevole nelle paure e nei pregiudizi della società parigina di fine Settecento. Perché un’ipotesi si propaghi amplificandosi di bocca in bocca diventando una probabilità imminente è necessario che essa trovi «nella società un terreno di coltura favorevole», come ha scritto Marc Bloch, che vi siano cioè le condizioni per la sua accettazione. Tanto più la società possiede i mezzi per farla circolare rapidamente (giornali, scritti e media visivi), tanto più si amplifica il “rischio” della catastrofe. Nei confronti del rischio l’uomo si misura con la “controversa realtà delle possibilità” e cerca di predisporre le adeguate contromisure per evitare che l’evento temuto si concretizzi. Cerca di predisporle se è possibile evitare il fatto, ma se la catastrofe è inevitabile, allora si entra nel regno irrazionale della paura: si ritorna a una concezione pre-moderna del rischio, quando l’azione umana era nulla (pandemie, carestie, ecc.). Come sostiene Ulrich Beck, mentre la catastrofe ha un punto temporale preciso (avviene in un momento), il “rischio” (ovvero, la sua percezione), che temporalmente la precede, è dilatato e ciò che conta è la sua “messa in scena” che costruisce e allo stesso tempo colma il divario tra la catastrofe immaginaria o immaginata e quella reale. Se il “rischio” è l’immaginazione del disastro, il cinema allora è la concretizzazione dell’immaginazione del “rischio” e della paura.
L’approssimarsi della cometa d’inizio Novecento (il “rischio”) fu certamente uno dei primi eventi ad avere una caratteristica mediatica mondiale e l’industria cinematografica non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione. Se è vero che né la letteratura né il cinema possono essere considerate prove testimoniali dirette, è anche vero che possono essere valutate come «mezzi legittimi per analizzare il senso di inquietudine dei contemporanei nella misura in cui sono il prodotto dell’epoca alla quale appartengono». Nonostante le rassicurazioni scientifiche, con l’avvicinarsi della data prevista dagli astronomi «anche gli scettici finivano col subire il contagio dell’ambiente, ormai pervaso da questo ancestrale timore» e «il ricordo biblico della punizione divina di Sodoma e Gomorra agitava gli animi, facendo apparire la catastrofe temuta come la giusta punizione di una umanità corrotta». L’arrivo della cometa condensava quindi paure epocali più che ancestrali, inquietudini collettive e profezie di guerra in un «clima di ansiosa aspettazione apocalittica».
Il cinema sfruttò industrialmente quel che potremmo definire il “dibattito pubblico” della sua epoca e allo stesso tempo rappresentando l’esprit du temps contribuì a mediatizzare lo stesso dibattito, a moltiplicarlo superando frontiere e toccando un pubblico di massa: fu, in questo caso, un agente di inquietudine e non solo il prodotto delle paure collettive, alimentando quel che Pascal Bruckner definisce “il fanatismo dell’Apocalisse”. Nell’aprile del 1910 esce nei cinema The Comet che ottiene un grande successo di pubblico. Le prime inquadrature del film mostrano l’evidente influenza di Méliès e del suo Le Voyage dans la Lune del 1902: un cartone disegnato con il volto ridente della Luna che guarda la Terra squarciata dalla cometa mostruosa. Ma è un’immagine anche in linea grafica con le miriadi cartoline postali ironiche che si pubblicarono in quei mesi del 1910 che evidenziavano uno stato d’animo, in fondo, contraddittorio: l’inquietudine esisteva ma allo stesso tempo la si esorcizzava e anche la si usava. L’advertising commerciale, ad esempio, sfruttò la cometa per pubblicizzare prodotti come il sapone (Pears’ Soap), bibite efferfescenti (Poinsetta), il rasoio (Clemak, che nell’immagine sconfigge la meteora collidente), whisky (Comet Wiskey), penne (Waterman, il cui motto era: “Fixed and shotting stars”), mostrando che esisteva il contagio collettivo poiché la pubblicità sfrutta sempre il comune sentire, si accoda all’opinione e ai sentimenti del “pubblico”.
Nel catalogo della Kineto, The Comet veniva pubblicizzato così: «A sensational and exciting film, full of thrilling incidents. …An interesting example of what can be done by the kinematograph in depicting imaginary events in realistic fashion. What might happen IF the Comet touched the Earth. (Supplied only on condition that this Film is not re-sold or used for re-exhibition in the United States of America). The Mansion. Anxious moments in the dining room. The rush to the observatory. The Astronomer’s explanation. The Comet seen through the giant telescope. The Garage. A motor dash for safety. The coming of the Comet. Explosion of the petrol.The Miser’s Den. The Miser’s doom and melting of his hoarded gold. The Widow’s Cottage. Heat and Thirst. The Flight. The cottage fired. The Red Cross car to the rescue. The Burning Countryside. Farm, cottage, railway station and mansion involved. The Caves. An underground refuge from the heat. The last drop of water. The water thief. Summary justice. Deeper down. The stalactite cave. Water at last. The passing of the Comet. Panoramic Scene of a devastated World». La struttura della narrazione è semplice ma costruisce degli elementi fondanti: dopo il cartone alla Méliès, entriamo in una casa borghese dove, verso sera, una coppia dà la buonanotte alla figlia e dopo che la bimba è andata a dormire guarda dalla finestra il passaggio della cometa. Dunque, la catastrofe possibile coinvolge dapprima un piccolo nucleo di individui, in particolare una famiglia, e non la generica umanità: al cinema il pubblico ha bisogno di essere coinvolto. La famiglia che viene sconvolta dalla catastrofe, o che è gia scompaginata di suo e che grazie al cataclisma si ritrova, o un padre coraggioso che eroicamente salva i suoi cari… Sono luoghi destinati a diventare topici. Siamo agli albori del paradigma del genere. Di film che utilizzavano la “cometite”, la paura della fine del mondo, ne uscirono altri nel 1910: Der Traum eines Astronomes (Lux Film), Das Ende der Welt, Enfin la Comete!, Der Halleysche Komet Kommt!. Il cinema si mette subito al lavoro per sfruttare le inquietudini e con grande successo di pubblico. In fondo, meglio esorcizzare la paura con la finzione della paura stessa.
di Giuseppe Ghigi