Il cinema di Allende

A cinquant'anni di distanza, Silvana Silvestri ripercorre le tappe più salienti della svolta cinematografica cilena dopo il famigerato colpo di Stato del 1973.

L’11 settembre del 1973 con il colpo di stato in Cile si interruppe oltre che il primo esempio al mondo di governo socialista democraticamente eletto, anche il nuovo cinema cileno che lo aveva sostenuto e documentato in ogni fase e in ogni manifestazione, mostrando le contraddizioni e le arretratezze di un paese da cambiare, prime tra tutte la povertà inaudita dei campesinos e l’ingerenza economica delle compagnie angloamericane proprietarie delle miniere.

Il «cinema di Allende» ha rappresentato un capitolo importante nella storia del cinema mondiale, per gli importanti cineasti che ne hanno fatto parte e per le diramazioni che ha prodotto ai tempi dell’esilio, arrivate ad alimentare anche il cinema cileno contemporaneo dopo un lungo periodo di «amnesia», come era intitolato non a caso il film di Gonzalo Justiniano del 1994 che contribuiva a tessere un lungo lavoro sulla memoria.

La dura repressione nei confronti dei cineasti torturati, uccisi, imprigionati o costretti all’esilio, la cancellazione dei film, l’oblio a cui fu destinata tutta la ricchissima produzione che aveva registrato in tempo reale le conquiste del governo di Allende, dimostrano l’importanza e il timore che aveva suscitato il nuovo cinema cileno.

Erano giovani studenti universitari o appena laureati i cineasti che si riunivano nel cineclub della Universidad de Chile o all’Università Cattolica di Santiago sotto la guida di Sergio Bravo che aveva lanciato la consuetudine dei dibattiti a fine proiezione, in genere di film europei in controtendenza con i film nordamericani che invadevano le sale di proprietà delle majors. La caratteristica principale di quel nuovo cinema diventerà il documentario, imparato a conoscere nel cineclub attraverso i grandi classici da Grierson a McLaren, genere adeguato ai mezzi leggeri che permettevano di girare per strada, secondo la tendenza delle nouvelle vagues della fine degli anni Cinquanta.

Quando arrivò in Cile Joris Ivens per girare A Valparaiso (1963) con Chris Marker lasciò certamente qualche traccia, perché nel cineclub si proiettarono i suoi film e alcuni di quei giovani spettatori parteciparono alle riprese che mostravano lo spericolato e inedito andamento verticale della città che tanto stupivano il viaggiatore straniero.

L’appuntamento fatidico fu il primo incontro del cine latinoamericano di Viña del Mar del 1967 organizzato per iniziativa di Aldo Francia, pediatra di origini italiane che a Viña aveva fondato il primo cineclub e la prima scuola di cinema del paese nel ’62 e che tornerà a raccontare in Valparaiso mi amor nel 1969 la drammatica realtà della città costruita come a segnare architettonicamente le differenze sociali: le abitazioni dei ricchi e sempre più in alto quelle dei più poveri.

All’incontro del cinema latinoamericano parteciparono giovani cineasti cileni che in seguito diventeranno famosi, come Miguel Littin che aveva realizzato nel ’65 per l’Università il corto Por la tierra ajena e Raul Ruiz che aveva esordito nel ’63 con il corto La maleta e nel ’68 con Tres Tristes tigres mostrava con il suo stile da outsider le invalicabili differenze di classe del paese. Erano presenti a Viña del Mar tutti i nuovi movimenti dei vari paesi latini, come il Cinema Novo brasiliano, il cinema rivoluzionario cubano, l’argentino Fernando Birri che aveva frequentato il Centro sperimentale di Roma e fondato nel ’58 la scuola di Santa Fé influenzato dal neorealismo e dall’interesse per le problematiche sociali. L’incontro di Viña del Mar segnò per i cineasti cileni una svolta decisiva nella strada da seguire, mostrare nei documentari la realtà del paese che veniva occultata dal folklore e da mitologie legate alle bellezze locali. Fu proprio Miguel Littin a firmare il film chiave di questo periodo El Chacal de Nahueltoro (1969) ispirato a un fatto di cronaca, protagonista un disoccupato analfabeta che in preda all’alcol stermina la sua famiglia, in prigione impara a leggere e a prendere coscienza, finché arriva la sentenza di condanna a morte. Il grande successo del film indicava che per la prima volta il grande pubblico veniva a contatto con terribili aspetti dell’arretratezza del paese.

I pochi film realizzati dalla Chile Films assecondavano il governo Frei mostrando un Chile avanzato, moderno, turistico, tra musical e locali notturni, ma già si era formata all’Università de Chile la schiera di documentaristi, «il cinema di Allende» che iniziava a percorrere il paese, rilevarne i problemi, registrare le manifestazioni, toccare argomenti intoccabili come argomenti patriottici, demoliti da Helvio Soto in Caliche Sangriento (1969) film realizzato sulla scia del western all’italiana ma che metteva in discussione gli inutili sacrifici dei soldati caduti nella guerra tra Cile, Bolivia e Perù per gli interessi dei proprietari delle miniere, toccando il tema della lotta alla colonizzazione, della nazionalizzazione delle imprese straniere.

Nel dicembre 1969 fu fondata Unidad Popular formata dalla maggior parte dei partiti di sinistra, comunisti e socialisti, di centro sinistra, radicali e dall’ala sinistra della Democrazia cristiana. Pablo Neruda candidato dal partito comunista come futuro presidente percorse tutto il paese da nord a sud tenendo riunioni e comizi con grande partecipazione e sostegno popolare per passare quindi la candidatura al «socialista marxista» Salvador Allende che fu eletto presidente il 4 ottobre 1970.

Movimenti culturali che avevano percorso gli anni Sessanta nel paese avevano costituito una rete di sostegno al programma di Unidad Popular: innanzi tutto la poesia aveva costituito un autorevole punto di riferimento, come mostrava l’ampio consenso ottenuto da Neruda. Quindi si sviluppò il movimento della «nueva canción chilena» con Violeta Parra e i figli Isabel e Angel Parra, Victor Jara, Tito Fernández, Rolando Alarcón, Quilapayún, gli Inti Illimani, sostenitori di Unidad Popular, elaboratori della musica folkloristica con tematiche sociali, collaboratori con le loro colonne sonore ai film e documentari dell’epoca, costretti poi all’esilio, perseguitati o assassinati come Victor Jara.

I futuri cineasti alla ricerca dell’identità nazionale, costituivano un movimento di sostegno al programma politico, con film prodotti dal Centro di cinema sperimentale dell’Università del Chile: La marcha del carbón (1960) di Sergio Bravo, il primo documentario su una mobilitazione di massa: dopo uno sciopero di 90 giorno della compagnia carbonifera di Lota i minatori e le loro famiglie intrapresero una marcia di 40 chilometri fino alla città di Concepción; Por la tierra ajena (1965) primo film di Miguel Littin che mostra già le caratteristiche del suo stile deciso, protagonisti bambini che cercano di sopravvivere per le strade della grande città, accompagnati in una terra «che non appartiene a loro», dalla canzone di Patricio Manns che dà il titolo al corto, sei minuti di definitivo reperage sulle condizioni di povertà assoluta.

El analfabeto (1965) di Helvio Soto, tragico scherzo in ambientazione militare, Electro Show (1966) di Patricio Guzman, patchwork che mostra la cultura pop veicolata dalla tv monopolizzata dai programmi nordamericani, Denutricion infantil (1969) di Alvaro Ramirez, denuncia della statistica di mortalità infantile non percepita dalla società, Herminda de la Victoria (1969) di Douglas Hubner, che prende il nome da un bambino ucciso in seguito agli scontri con la polizia per l’occupazione della terra da parte dei campesinos, e titolo della la canzone di Victor Jara che fa da colonna sonora. È un film che mostra anche come cambiava il punto di vista delle riprese, non più dietro le fila dei poliziotti o dello schieramento dei soldati, ma dalla parte dei protagonisti della lotta.

Il popolo diventa sempre più protagonista. Tutta una serie di documentari accerchiavano la società e rendevano conto delle problematiche del paese fino ad allora rese invisibili, fino al programmatico Venceremos (1970) di Pedro Chaskel e Hector Rios, che prende il titolo dalla canzone di Sergio Ortega, inno della campagna elettorale di Unidad Popular, premio della critica a Cannes 1971, che senza parole mostra la realtà dei ricchi e dei poveri, i due volti inconciliabili del paese.

IL MANIFESTO DEI CINEASTI

Dopo la vittoria di Unidad Popular e l’eleziona di Allende, Miguel Littin, con l’autorevolezza ottenuta dal successo di El Chacal de Nahueltoro è nominato presidente della Chile Films e incaricato di un progetto per lo sviluppo del cinema militante legato alla costruzione del socialismo. Nasce così nel 1970 il «Manifesto» dei cineasti del cinema nuovo a sostegno di Unidad Popular, stilato da Littin, costituito da molti propositi ma nessuna concreta istituzione o investimenti economici a sostenerlo.

Nel «Manifesto» si invitavano i cineasti a costruire insieme al popolo «il socialismo», rivendicare l’identità culturale e politica, non permettere che venissero usati i valori nazionali a favore del capitalismo, quindi in tredici punti si stilavano i principi del cinema rivoluzionario, in opposizione alle forme tradizionali di produzione che indicano dipendenza culturale provenienti da estetiche che non avevano niente a che fare con il popolo cileno.

Infatti caratteristica del nuovo cinema cileno è una presa di distanza anche dalle altre cinematografie latinoamericane pur con le loro esperienze avanzate, in favore si potrebbe dire di «una via cilena al cinema»: i confronti (con il terzo cinema, il peronismo, il cine rivoluzionario cubano) erano avvenuti a Viña del Mar e in una fatidica edizione della Mostra del nuovo cinema di Pesaro del 1968, che diventerà periodico appuntamento per i cineasti latinoamericani, come nell’edizione del 1974 in cui si mostrarono i corti e i mediometraggi prodotti all’epoca di Unidad Popular.

L’idea era rendere il cinema «un diritto del popolo e i suoi mezzi alla portata i tutti i lavoratori», trasformare la struttura elitaria del cinema. A questo scopo furono creati dei laboratori aperti a tutti, ma ben presto si dovettero chiudere per mancanza di fondi e materiali.

Intanto una serie di film mostrava le differenti posizioni all’interno di Unidad popular, come Voto+fusil (1971) di Helvio Soto, avvertimento a scegliere se essere riformisti o rivoluzionari, se scegliere la via democratica o quella rivoluzionaria del MIR, poiché senza il «fucile» a difenderla, la democrazia sarebbe stata messa in pericolo da una destra decisa a mantenere i suoi privilegi. Soto nel 1972 lancerà un avvertimento deciso sulla possibilità di un golpe in Metamorfosis de un jefe de policia politica (un film arrivato alla Quinzaine, ma mai proiettato in Cile, ritrovato e reataurato solo recentemente).

Il movimento cattolico fu rappresentato da Aldo Francia in Ya no basta con rezar (1972), storia di un giovane prete che affianca la lotta degli operai recandosi direttamente nelle borgate più povere a portare non solo la sua testimonianza ma anche la sua militanza.

Un film leggendario fu Palomita Blanca (1973) di Raul Ruiz fuoriclasse che aveva affiancato con i suoi documentari tutta la campagna elettorale di Unidad Popular come Militarismo y tortura, 1969, Ahora te vamos a llamar hermano (1971) sull’incontro di Allende con il popolo mapuche.

Ruiz aveva affiancato alla regia i filmmaker nordamericani con Saul Landau e Nina Serrano di Que hacer!, venuti come tante altre troupe straniere (tra cui quella di Roberto Rossellini) a filmare l’incredibile evento di un governo socialista democraticamente eletto.

Miguel Littin che nel ’71 aveva aderito al MIR girò «Compañero presidente», la lunga intervista in cui Régis Debray, sotto il poster di Ho Chi Minh, incalza Allende sul processo rivoluzionario messo in atto nel paese.

Raul Ruiz (che degli stranieri arrivati in Cile fa un ritratto sarcastico in La colonia penal del 1970) si distaccava nettamente dal linguaggio del cinema militante, con un taglio decisamente poetico e allusivo, entrava in profondità nelle contraddizioni del tessuto sociale del suo paese mostrando le invalicabili differenze di classe. Così in Palomita blanca superproduzione dell’epoca che metteva in scena un popolarissimo romanzo d’amore di Lafourcade tra una ragazza del popolo e un rampollo dell’alta società riusciva a sintetizzare perfettamente le due anime inconciliabili del paese. Uscito al momento del golpe il film scomparve, non fu mai visto finché non ricomparve negli anni ’80, da un negativo fatto uscire clandestinamente dal paese.

Tutta la produzione di corti, mediometraggi e film e l’elaborazione teorica e pratica si interrompono al momento del golpe, una serie di lavori interrotti, spesso terminati in esilio testimoniano la forza di una cinematografia che ha continuato a produrre opere emblematiche e continua ancora oggi a mostrare capolavori che affondano le radici in quel passato come è stato in tutta la serie di film realizzati da Raul Ruiz tra Francia e Portogallo, fino agli ultimi film di Patricio Guzman (La Cordigliera dei sogni, La memoria dell’acqua).

Patricio Guzman rientrato in Cile dopo i suoi studi in Spagna al momento dell’elezione di Allende, è coinvolto nella costruzione dei laboratori e forma un gruppo di giovani maestranze per documentare gli avvenimenti del paese. Nasce così El primer año descritto senza enfasi come «film che mostra alcuni aspetti del nostro processo rivoluzionario durante il primo anno del governo popolare», resoconto ancora oggi stupefacente degli immediati cambiamenti radicali che si susseguono a rispettare il programma di Allende, come la nazionalizzazione delle miniere o la riforma agraria in contrapposizione con gli incredibili residui del passato, come i rituali dei latifondisti, una lunga onda vittoriosa, viaggio attraverso ogni aspetto della società cilena che si conclude con la visita di Fidel Castro in Cile. Guzman in La respuesta de octubre (1972) registra quello che succede nelle strade in seguito al «paro de octubre», lo sciopero dei camionisti che bloccò il paese, orchestrato dalla Cia contro il governo socialista. Inizia nel 1973 le riprese di La batalla de Chile. La lucha de un pueblo sin armas (La battaglia del Cile. Lotta di un popolo senza armi), alcuni mesi prima del colpo di stato, quello che diventerà un monito internazionale e terminerà in esilio il film da lui definito meno epico dei suoi lavori precedenti e più teorico, con l’analisi, sviluppo, dinamica e contraddizioni del periodo storico.

Miguel Littin al momento del golpe si trovava a Cuba e sfuggì alla cattura, in esilio terminò La tierra prometida che rievocava una comune contadina degli anni trenta ambientato con diretti riferimenti al presente. Una protagonista del film, l’attrice e cineasta Carmen Bueno risultò desaparecida insieme al suo compagno Jorge Muller, operatore di tanti film compreso La battaglia del Cile). E in Messico girerà poi il lungometraggio Acta de Marusia (1976) interpretato da Gian Maria Volonté ambientato durante scioperi in una miniera agli inizi del secolo.

Miguel Littin sarà poi il protagonista nel 1985 di un indimenticabile episodio, il suo ritorno in Cile in clandestinità, non tanto per motivi nostalgici, quanto per girare un film sulla vita del paese sotto la dittatura, 7mila metri di pellicola che portò fuori dal paese sfuggendo ai militari ormai sulle sue tracce e che diventerà Acta general del Chile, un film che ha fatto versare fiumi di lacrime agli esiliati in Europa, come abbiamo avuto poi modo di constatare personalmente.


di Silvana Silvestri
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