I cinema chiusi e l’influenza spagnola

In tempi di pandemia come quelli che stiamo vivendo si torna con la mente alla strage demografica provocata dalla “influenza spagnola” del 1918-1919, di cui cinema e letteratura si sono occupati ben poco.

Se gli storici hanno calato a lungo un incredibile silenzio sulla strage demografica provocata dalla “influenza spagnola” del 1918-1919, anche la letteratura e il cinema non se ne sono occupati. Film di fiction direttamente legati all’epidemia non furono girati negli anni successivi ed esiste solo qualche frammento di cinegiornale che la documenta, come San Francisco in the Time of Spanish Flu che dura solo un minuto, e un incredibile filmato educativo britannico del 1919, Dr. Wise on Influenza di Joseph Best, che insegna agli inglesi come comportarsi per difendersi dalla Spagnola, ovvero lavarsi le mani, costruirsi e portare la mascherina, non frequentare posti affollati e tenere le distanze (se non fosse muto andrebbe benissimo anche oggi e dimostra che, in fondo, a cent’anni di distanza sono poche altre le difese dal virus). Chi avrebbe mai avuto voglia dopo quattro anni di guerra di divertirsi andando a vedere una storia di morte? Si aggiunga il poco appeal, dal punto di vista melodrammatico, che un’influenza, anche colossale, aveva (come scrive Laura Spinney, è stata una strage fatta “di milioni di silenziose tragedie private”).
L’effetto della pandemia si fece invece fortemente sentire sui cinematografi di tutto il mondo costretti o a chiudere o a ottemperare a complesse e costose misure di prevenzione del virus. Le reazioni degli esercenti furono all’inizio “negazioniste”. Nel 1918, la rivista inglese “Bioscope” ospitò vari interventi a riguardo: «… è chiaramente evidente che le persone si infettano maggiormente fuori e non all’interno dei cinema»; o quando si decise di proibire ai minori di entrare nei cinema: «i bambini sono più a scuola che al cinema, o a correre per le strade, o a giocare con altri bambini in case dove è possibile contrarre la malattia»; e ancora: «… l’opinione del pericolo di venire infettati dall’influenza nei cinema è un non senso. La maggioranza delle persone che sono state colpite dall’influenza sono persone che lavorano all’aria aperta».
Nel dicembre del 1919 il prefetto di Milano, Filiberto Olgiati, impose la chiusura dei cinema. Sulla rivista “Film” si legge:

«In conseguenza di un improvviso e draconiano ordine del Prefetto, diramato ieri sera a tarda ora, che imponeva a tutti i locali cinematografici la chiusura da oggi, giorno di festa, e fino a nuovo avviso, per misura d’igiene, dato il ritorno dell’epidemia, fu indetta d’urgenza per stamane una riunione di tutti i cinematografisti per discuter circa il contegno da tenere di fronte a questa misura prefettizia, la quale, per quanto giustificata da motivi di salute pubblica, pure per esser limitata esclusivamente alla cinematografia, e per non esser la prima che contro di questa è stata presa da un po’ di tempo in qua, rivestiva tutti i caratteri di un’angheria. La riunione è riuscita affollata e movimentatissima; e i più calmi ed equilibrati si son dovuti adoperare per ridurre alla ragione i più esaltati, tra i quali c’era chi voleva aprir i locali in barba al decreto, e chi costringere con dimostrazioni e chiassate i teatri e gli altri luoghi pubblici a interrompere a chiudere…. Dopo lunga discussione, durante la quale il Cav. Corti ha lucidamente esposto la condizione nella quale si sarebbe venuta a trovare tutta la classe per la chiusura, anche breve, dei locali, e il pericolo di disordini nella massa se il decreto dovesse esser mantenuto, il Prefetto ha consentito a revocare il decreto stesso, e ha concesso che i locali aprissero per quattro spettacoli tra diurni e serali, purché rigorosamente rispettate tutte le altre disposizioni igieniche già emanate, compreso un lungo intervallo tra uno spettacolo e l’altro, e il divieto d’ingresso a i bambini».

L’alternativa alla chiusura era provvedere all’igienizzazione delle sale, cosa che diede il via a fantasiose iniziative come spruzzare nelle sale olio di canfora, l’“antisettico” Perolin, il Perfuma, il The Ideal Vapouriser, l’Ozona Solution, il Wesdenin, il Lysol…. Nel mondo si andò in ordine sparso e anche all’interno degli stessi Stati si ebbero procedure diverse: a San Francisco era obbligatorio entrare nei cinema con la mascherina (ma alcuni giornali davano la notizia che gli spettatori se la toglievano all’interno o scoprivano il naso), mentre in altre città era solo obbligatorio “ventilare” i locali a volte dopo una solo una proiezione, altre dopo quattro ore; a Philadelphia i cinema furono costretti a chiudere nell’ottobre del 1918. Negli Usa, lo State Health Director americano impose alla fine del 1918 regole precise per i cinematografi: chiusura alle 22, disinfezione e ventilazione dei locali ad ogni proiezione; in Gran Bretagna il Local Government Board impose con il Public Health Act del novembre 1918 di ventilare i cinema dopo quattro ore di proiezione per trenta minuti (misura che venne giudicata dagli esercenti una “vessazione”).
In un editoriale di “Cine-gazzetta” del novembre del 1918 ci si lamenta che le misure per tenere aperti i cinema sono impossibili da realizzare:

«Un’ora? E come è possibile disinfettare un locale in un’ora? Evidentemente alla Prefettura non si son resi esatto conto di ciò che importa una disinfezione accurata ed efficace. Perché le cose: o si fanno o non si fanno ! O disinfettare efficacemente, o nulla! Infatti per disinfettare un locale a regola… d’igiene, stavo per dire a regola d’arte, bisogna prima di tutto attendere che il pubblico sia tutto completamente uscito, poi bisogna aprire tutte le porte, per la opportuna ventilazione. Occorre, per un completo cambiamento d’aria, tenere le porte aperte per lo meno tre quarti d’ora. Quindi si debbon spazzare i pavimenti, avendo cura di averli prima bagnati, spolverare i mobili, le sedie, le poltrone, cambiare possibilmente alle medesime il cuoio, il velluto o la paglia, a seconda di come sono confezionate, dare una passatina di bianco alle pareti, ecc. ecc. Dopo, usciti questi primi, debbono entrare altri disinfettatori con l’incarico di fare delle polverizzazioni di acido fenico o di altro sterilizzante nell’aria ambiente allo scopo di distruggere ogni possibilità di germi lasciati dai precedenti disinfettatori, poiché non è detto che sol perché un tale esercita il nobile mestiere del disinfettatore non possa essere egli stesso infetto. Dopo di che, uscita questa seconda schiera, si devono riaprire le porte, e mettere in moto i ventilatori per scacciare il puzzo dei disinfettanti, e per far asciugare i pavimenti irrorati. A occhio e croce si vede che per tutte queste operazioni, che debbono essere eseguite sotto lo scrupoloso controllo di uno o più ispettori, occorreranno per lo meno tre giorni, onde, i «cinematografari» hanno chiesto alla Prefettura, in omaggio ai sani precetti dell’igiene, che il decreto sia modificato in questo senso: Si permette la riapertura delle sale cinematografiche a patto però, che in esse si dia uno spettacolo ogni quattro giorni, affinché i proprietari possano avere il tempo di far eseguire le opportune disinfezioni dei locali fra uno spettacolo e l’altro».

Ben presto fu la mancanza di pubblico a far crollare il botteghino (e non solo per il virus perché nel 1918 milioni di uomini erano ancora impegnati sui fronti di guerra). La Spagnola ebbe però un effetto importante sul cinema hollywoodiano. La crisi permise ad Adolf Zukor di cambiare radicalmente il sistema produttivo e distributivo cinematografico accentuandone la verticalizzazione fondando la Paramount Pictures Corporation. La Paramount comprò a una grande quantità di cinema in crisi o che avevano chiuso a causa della pandemia costruendo una catena distributiva proprietaria che metteva in programma i migliori film prodotti dalla casa e lasciando ai cinema indipendenti solo quelli di minor cassetta. Presto anche la Universal Pictures, laWarner Bros, la Columbia Pictures e per ultima laMGM, seguirono l’esempio di Zukor. C’è da chiedersi cosa accadrà col Covid19: si andrà verso il dominio assoluto dello streaming con film prodotti e venduti dalle piattaforme? Oppure, come accadde sul finire del 1919 quando la voglia di divertirsi, dopo la guerra e due anni di tragica influenza, riportò il pubblico nelle sale? In quegli anni, però, la tv e internet non c’erano…


di Giuseppe Ghigi
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