“La guerra filmada”: la memoria della Spagna del 1936-39
Valeria Camporesi (direttrice Filmoteca Española, docente Universidad Autónoma de Madrid) sulla serie a puntate trasmessa da RTVE nel 2006.
Nel 2006, con l’occasione del settantasettesimo anniversario dell’inizio della guerra civile, l’ente pubblico Radio Televisión Española decise di produrre, in collaborazione con Filmoteca Española, una serie in otto puntate intitolata La guerra filmada. Il programma consisteva essenzialmente nella ritrasmissione integrale, e senza nessun tipo d’operazione di post-produzione, di una quantità ingente di documentari e notiziari girati durante il conflitto (disponibile online nel sito di RTVE: qui). L’unico intervento esterno, posteriore all’epoca dei filmati originali, era l’apparizione di Julián Casanova, docente di storia della Spagna contemporanea, che in una breve introduzione ad ogni opera riassumeva i temi principali affrontati nel materiale presentato e forniva alcuni dati sul processo di produzione.
Si trattava, in definitiva, di una proposta che, oltre a diffondere film che non erano mai stati proiettati insieme con altri che avevano circolato in precedenza in vari canali, pretendeva esporre, quasi senza filtro, immagini controverse e pesantemente condizionate dalle drammatiche circostanze di un conflitto politico e militare. Il valore storico, politico e culturale dell’operazione era indubbio, e l’ampia selezione dei materiali mostrati era rappresentativa, rigorosa e molto suggestiva. Come punto debole si potrebbe segnalare il fatto che non si sia data voce a studiosi specializzati di cinema che avrebbero potuto aggiungere un’analisi dei materiali più vicina alle immagini e al modo in cui erano state costruite, agganciando in modo diretto il discorso storico ai documenti.
Ma la ragione che induce a rivisitare oggi il programma è un’altra e ha a che fare con il legame che si può stabilire tra quell’operazione e la circolazione su internet di filmati, nel caso concreto quelli realizzati durante la guerra civile spagnola. La pratica di rendere accessibili online copie digitalizzate di audiovisivi originali è comprensibilmente molto diffusa. Non sorprende quindi che Filmoteca Española abbia pubblicato su YouTube (alla voce “Filmoteca Española. Colección Guerra Civil”) i materiali che conserva sul conflitto del 1936-39 in formato di divulgazione diretta, senza documentazione o introduzione, però intercalati con i brevi video degli interventi, separati e decontestualizzati, di Casanova. Questa strana presentazione risulta interessante perché, facendo propria senza correzioni o integrazioni la logica che sosteneva La guerra filmada, rende visibile un problema su cui è necessario riflettere: passando dal cinema alla televisione e finalmente alla rete, è andato perduto il contesto concreto di cui i filmati e poi il programma formavano parte, e che contribuiva a farne comprendere il significato, come opera di informazione e propaganda nel momento della creazione e posteriormente in quanto proposta di formazione di un sapere storico condiviso. Può allora valer la pena, da un lato, di evocare e capire le implicazioni in particolare del secondo contesto, quello del 2006, e, dall’altro, di ragionare un po’ su questo stato di cose.
Le questioni da rivedere sono due. In primo luogo, è interessante ricostruire gli antecedenti del programma. L’idea veniva infatti dell’esperienza fatta da Filmoteca Española nel 1986 quando, per il cinquantesimo anniversario dell’inizio della guerra, aveva organizzato in un cinema di Madrid un ciclo di proiezioni in trentaquattro sessioni di un’ora e mezza circa, nel corso delle quali si proiettarono tutti i materiali relativi all’epoca del conflitto che era stato possibile recuperare. L’iniziativa suscitò un forte interesse, e le richieste di accesso ai filmati, soprattutto da parte dei media, nazionali e internazionali, continuarono a crescere negli anni seguenti, fino ad ispirare vent’anni dopo la proposta di riprodurre il formato utilizzando canali di diffusione di massa, come la televisione e, posteriormente, il DVD.
Come seconda problematica, è però necessario segnalare che nel 2006 il ritorno all’accesso diretto ai filmati formava parte di un’operazione più ambiziosa, che andava al di là della semplice ripetizione, in una nuova versione, di un’esperienza già fatta. Nelle intenzioni dei responsabili di Televisión Española, in realtà La guerra filmada formava parte di una “trilogia” di programmi, in varie puntate, concepiti per offrire ai telespettatori della rete pubblica una visione scientificamente fondata e attualizzata di un periodo storico sulla cui lettura non esisteva consenso nella società spagnola. Sebbene fossero tutte dirette a un pubblico minoritario, quello di TVE2 in orario notturno, da mezzanotte all’una, l’uso che le tre serie facevano dei materiali di archivio era abbastanza disomogeneo. Mentre, come si è detto, La guerra filmada si sforzava di interferire il meno possibile, con l’idea di lasciare che le immagini parlassero da sole, El laberinto español proponeva un sostanzioso dibattito tra esperti e ricercatori specializzati su temi concreti a cui era dedicato il materiale documentario proposto per la puntata in questione, e La memoria recobrada, infine, prescindeva completamente della produzione d’archivio ed era rivolta a creare un nuovo repertorio di testimonianze audiovisive per illustrare la storia del conflitto in aree geografiche, come la Galizia, l’Andalusia o la zona di León, e situazioni sociali molto concrete fino a quel momento ampiamente nascoste.
Un ultimo dato interessante è che questi programmi si misero in onda in un momento in cui nel mondo politico, e nell’opinione pubblica, era in corso un aspro dibattito proprio sul modo in cui lo stato spagnolo si rapportava alla storia della guerra civile e del franchismo. Il governo socialista di José Luis Rodríguez Zapatero aveva infatti in progetto l’approvazione di una “Ley de Memoria Histórica” che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto correggere i deboli e insufficienti interventi realizzati nei quarant’anni di democrazia per riconoscere e riabilitare le vittime del franchismo, e liberarsi dell’ancor forte presenza del suo lascito propagandistico saldamente inserito nella logica del patrimonio culturale dello stato spagnolo. Ciò che emerse in quel dibattito, e non era la prima volta, né sarebbe stata l’ultima, era la difficoltà di costruire una narrativa consensuale e maggioritariamente accettata della storia della nazione spagnola, e in concreto delle tragiche esperienze del Novecento. Il fatto che, come si è accennato, i programmi in questione aspirassero a un rating esiguo rivela la problematicità del loro significato sociale e l’estrema cautela con cui si lanciarono. Da un lato, infatti, si diede per scontato che ampi settori della popolazione erano ormai poco attratti dal tema della guerra civile, ma dall’altro è anche evidente che si stava rinunciando alla possibilità di proporre un’interpretazione condivisa in modo maggioritario. Almeno a livello culturale, la frattura tra le due Spagne era ancora percepita come fortemente presente e in qualche modo inevitabile.
Ma la ragione per cui La guerra filmada può ispirare una riflessione produttiva sul rapporto tra il cinema e la storia non ha tanto a che vedere con le implicazioni politiche della storia nel presente della comunicazione audiovisiva di massa (il cinema del Novecento e poi la sua sopravvivenza e ri-diffusione attraverso nuovi canali, come la televisione o oggigiorno internet), o il suo enorme potenziale di costruzione di immaginari identitari. Il tema è naturalmente molto rilevante e va tenuto presente, ma ciò che vorrei segnalare qui è piuttosto un’altra questione, che mi sembra preliminare e che, in ogni caso, configura in modo invisibile l’immaginario che oggi si può generare del passato di una società. Concretamente, e senza pretendere nessuna originalità, quello che va ripensato qui è la natura stessa del cinema d’informazione, o più concretamente il suo contenuto informativo preciso.
In altre parole, ciò che propongo di considerare problematico è la nozione, su cui si basava il programma e che la messa a disposizione su internet sublima e proietta verso il futuro, che le immagini di quei notiziari e servizi non soltanto parlino da sole, ma possano completare, in sé e per sé, ciò che si conosce del momento e dell’epoca. Vedo in questa pretesa almeno due enormi difficoltà che credo che gli storici del cinema e tutti coloro che hanno esperienza di analisi dell’audiovisivo debbano segnalare con passione. In primo luogo, risulta sconcertante che con tali premesse si finisca con ignorare la natura polisemica delle immagini (rese ancora più complesse dal registro del movimento e dalla pratica del montaggio, visivo e sonoro) e che si possa pensare che una veloce introduzione limitata a evocare i tratti essenziali del contesto storico sia sufficiente perché gli spettatori comprendano ciò che il documento può loro raccontare del passato (il fatto che nella versione del programma “ereditata” dalla collezione online di Filmoteca Española si siano direttamente asportati e separati gli spezzoni con il commento storico è in questo senso molto significativo). Al di là del dialogo che, come si è detto, La guerra filmada poteva stabilire con i due programmi contestuali, ma obiettivamente indipendenti, l’operazione in sé era molto rischiosa, proprio tenendo conto dell’estrema capacità delle immagini e dell’audiovisivo a de-contestualizzarsi e circolare in circostanze semantiche nuove.
La seconda perplessità non è meno importante, ha a che fare con il gran numero di filmati proposti e la pretesa di esaustività, con cui si presentò il programma, e che si trasferisce alla logica della loro presenza online. Ricordiamo il suggestivo testo di una conferenza che Umberto Eco impartì al Guggenheim di Bilbao nel 2001, in cui consigliava, per il terzo millennio, l’allestimento di un museo che contenesse una sola opera (il testo è reperibile online: qui). La sua intelligente riflessione prendeva le mosse da un testo di Paul Valéry, che in uno dei suoi scritti si dichiarò poco amante dei musei per il numero eccessivo di oggetti esposti: «la nostra eredità ci schiaccia», riferisce Eco citandolo. «L’uomo moderno, estenuato dall’enormità dei suoi mezzi tecnici, è impoverito dallo stesso eccesso delle sue ricchezze [….] Un capitale eccessivo e dunque inutilizzabile».
Non credo sia necessario aggiungere molte parole per comprendere l’urgenza e la rilevanza di dibattere su questo. Il sito web della Federazione Internazionale degli Archivi Filmografici (FIAF) – nella sua presentazione delle collezioni accessibili online dei suoi affiliati – ricorda con molta chiarezza la complessità della realtà storica e del cinema nel suo contesto, dando per scontata la necessità di un approccio quanto mai documentato e informato ai materiali visionabili online. L’onnipresenza di internet, la nostra crescente dipendenza da quanto lì si trova (o si occulta), proietta allora la piccola allusione che si fa qui al caso concreto dei materiali informativi della guerra civile spagnola, e la loro presenza nella società, verso una dimensione più universale e urgente.
È solo da una stretta alleanza tra storici (e archivisti) e spettatori del presente che i filmati possono davvero raccontare il passato, e sono dunque necessarie molte parole, narrate o scritte, e uno spettro sufficiente di fonti primarie alternative per comprenderli. L’enorme vantaggio è che lo sforzo di riferire la complessità, e in un certo senso la dimensione paradossale, dell’avvicinamento al passato attraverso l’audiovisivo regala elementi di riflessione che potrebbero essere molto utili per capire il nostro presente, e rallentare l’incessante invasione, apparentemente senza senso, della favola “piena di rumore e di furore” dell’attualità.
di Valeria Camporesi