La Dc, il Pci e i film di propaganda. Una guerra per immagini

Mariangela Palmieri riflette sul rapporto tra la politica e i film di propaganda.

Eduardo De Filippo, nel ruolo di Pasquale Loiacono, prepara il caffè sul balcone di casa, conversando col suo dirimpettaio. Il dialogo è rilassato e pacato, ma il tono dell’attore si fa quasi perentorio quando, guardando in camera, invita a “Votare per chi si vuole, ma votare!”. L’appello anti-astensionista fa riferimento alle elezioni che di lì a poco si sarebbero svolte in Italia. Siamo nel 1948, il paese si prepara alle prime politiche della sua storia repubblicana e il clima è incandescente. In campo due forze, la neonata Democrazia Cristiana da una parte e il Fronte Popolare, che raccoglie sotto un’unica bandiera i due principali partiti di sinistra, dall’altra, si sfidano in un duello all’ultimo sangue. L’appello dell’attore napoletano è contenuto nel cortometraggio Considerazioni di Eduardo (1948), prodotto dai Comitati Civici a sostegno della DC. Si tratta di una delle pellicole più conosciute dell’ampia produzione cinematografica di propaganda che, non solo nel ’48 ma anche dopo, i democristiani e, sul fronte opposto, i comunisti realizzano per fare proselitismi.

L’utilità del cinema come strumento di costruzione del consenso era stata sperimentata già dai regimi totalitari nati tra gli anni Venti e Trenta del Novecento. In Italia, in particolare, l’Istituto Luce voluto da Mussolini aveva contribuito, coi cinegiornali e documentari di sua produzione, a edificare un monumento del paese fascistizzato e del Duce stesso. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, nel nuovo clima repubblicano, le neonate forze politiche, sebbene giudicassero negativamente il modello di propaganda del Luce, nei fatti ne raccolgono l’esempio. In particolare, i due principali partiti dell’agone politico, la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano, si dotano di strutture produttive, oppure fanno accordi con case di produzione esterne, per realizzare a supporto delle proprie attività di propaganda pellicole di genere diverso, sia di fiction che non-fiction, e di corto, medio e lungometraggio. Sullo sfondo della Guerra fredda che divide il mondo in due blocchi contrapposti, democristiani e comunisti rappresentano gli emissari in Italia delle due superpotenze Usa e Urss. La loro contrapposizione è per molti aspetti totalizzante e le due compagini si fanno portatrici di valori e visioni del mondo contrapposti. In questa guerra di religione combattuta in Italia sull’onda del più ampio scontro di portata mondiale, i film di propaganda svolgono la propria parte, traducendo nel linguaggio audiovisivo la voce della DC e del PCI.

Realizzati soprattutto in concomitanza di appuntamenti elettorali, i film di propaganda hanno scopi molteplici, come trasmettere il punto di vista delle due compagini su questioni specifiche, richiamare gli elettori al voto, costruire narrazioni di se stesse, o delegittimare il proprio principale avversario politico. I film fanno appello insieme alla ragione e alle emozioni. Secondo un modello ideale di propaganda fondata sulla razionalità, spiegano con un linguaggio chiaro ciò che, secondo i due partiti, gli elettori debbano sapere per decidere da quale parte stare. Ma parlano anche alla pancia dei votanti, facendo leva su sentimenti come la paura, l’attaccamento fideistico, o l’indignazione. I film di propaganda sono costruiti per convincere, così come per divertire, quando ricorrono all’ironia e alla parodia dell’avversario.

La produzione di questi filmati copre un intervallo di tempo ampio, che va dall’immediato secondo dopoguerra agli anni Settanta. Ma è soprattutto nel periodo compreso tra il 1948 e la metà degli anni Sessanta che il numero di opere realizzate è più fitto. La massiccia diffusione della televisione a partire dal miracolo economico sarà uno dei fattori che incideranno maggiormente sulla contrazione del numero di film prodotti. Le opere del PCI, che a livello centrale è costretto nel ruolo perenne di partito di opposizione,  circolano soprattutto nei circuiti della militanza, come sezioni o Case del Popolo. Non è ammesso a queste pellicole di essere proiettate nelle sale commerciali. Più ampio lo spazio di manovra dei film di propaganda della DC: oltre a essere mostrati in sedi di partito e nei luoghi della militanza democristiani, essi sono distribuiti nell’articolato sistema delle sale parrocchiali, che operano all’ombra della Chiesa e dell’Azione Cattolica, e talvolta giungono anche nelle sale commerciali. La diversa distribuzione di queste pellicole è insieme la conseguenza sia del ruolo politico svolto dai due partiti (partito di maggioranza relativa la DC e di opposizione il PCI) sia del diverso rapporto che essi hanno col sistema dei media e col cinema in particolare. In questo secondo caso, infatti, se il PCI si definisce come il partito della cultura, capace di incidere solo su un piano intellettuale e ideologico del cinema (riuscendo ad attrarre a se molti cineasti che sposano le due idee), la DC, anche in virtù del ruolo di partito al potere, riesce ad esercitare un controllo di carattere sistemico sulla produzione e sulla distribuzione cinematografiche.

La diversa distribuzione delle opere, inoltre, ne definisce anche alcuni dei caratteri. I film del PCI parlano prevalentemente ai militanti e per questa ragione si contraddistinguono per un linguaggio fortemente imbevuto di slogan, parole d’ordine e simboli riconoscibili del partito. Più che fare nuovi proseliti, le pellicole comuniste paiono voler rafforzare il legame fideistico con gli iscritti. Le opere democristiane, invece, parlano a un pubblico trasversale, non necessariamente già votante della DC, e pertanto ricorrono a un linguaggio politicamente neutro. Ma questa diversità dei linguaggi trova un fondamento anche nell’identità e nella cultura di riferimento delle due compagini. Il PCI è, infatti, un partito di classe, che si rivolge agli operai e al proletariato contadino, e che appare legato a un saldo bagaglio storico-ideologico. La DC, invece, è un partito interclassista, che mutua i suoi riferimenti valoriali da una più generica cultura cattolica. Pertanto, se i film del PCI presentano un marcato carattere politico-ideologico e in molti casi sono espressione della cultura alta, quelli della DC si rivolgono all’uomo medio e strizzano l’occhio alla cultura di massa. Così, i comunisti fanno girare i propri film da affermati registi di cinema, dichiaratamente vicini al partito (i fratelli Taviani o Carlo Lizzani, ad esempio), o fanno comparire al loro interno testimonial provenienti dai ranghi della cultura alta. I democristiani, sul fronte opposto, danno spazio nelle loro pellicole a personaggi del mondo dello spettacolo amati dal pubblico, come Domenico Modugno, Aldo Fabrizi, Franco e Ciccio.

Fatte salve alcune eccezioni, nel complesso la produzione di propaganda democristiana appare più capace di sintonizzarsi con la modernità, sullo sfondo di un’Italia che a cavallo del boom economico cambia pelle. Viceversa, le pellicole comuniste mostrano maggiori incrostazioni ideologiche che le rendono meno aderenti alle trasformazioni in atto nella società. I film delle due compagini, in tal senso, ci dicono molto dei partiti di cui sono espressione, delle loro identità, subculture di riferimento e visioni del mondo. Danno plasticamente forma ai relativi apparati ideali, fornendo nuovi contributi per l’interpretazione di una fase storica che li ha visti protagonisti indiscussi della vita politica italiana. Mentre nel mondo soffiavano i venti della Guerra fredda, democristiani e comunisti, esposti ai rigori del conflitto tra i due blocchi, gareggiavano nel contesto italiano contrapponendo universi valoriali e simbolici antitetici. I film lo raccontano con immediatezza, concorrendo a definire gli immaginari di alcune delle pagine più appassionanti della storia italiana del Novecento.


di Mariangela Palmieri
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